È molto probabile che chi, verso metà o fine ottobre, avrà la responsabilità di amministrare il ministero di piazza di Porta Pia a Roma, quello che – comunque si chiami – avrà competenza sui trasporti, voglia concentrarsi, almeno inizialmente, su azioni semplici e poco divisive. Perché quando le soluzioni a una problematica sono individuate in modo contrapposto dalle parti sociali, la scelta rispetto a quale privilegiare assume un connotato politico. E ritengo che un ministro di un governo di cambiamento, marchiato con caratteri politici evidenti, preferirà agire in maniera quasi tecnica, assumendo cioè posizioni il più possibili unanimi. La prima in tal senso potrebbe essere quella di lavorare sulle accise, ripristinando in maniera finanziariamente e ambientalmente corretta il loro recupero da parte degli autotrasportatori, tirandoli fuori dal mare magnum del taglio generalizzato. In questo modo otterrebbe un beneficio indiretto l’intera economia perché il trasporto, in un frangente segnato dal rialzo dei prezzi dei carburanti, genera un effetto moltiplicatore dell’inflazione, a tutti sgradito.
Una seconda misura non-divisiva potrebbe essere quella di dedicare all’autotrasporto una quota del decreto flussi, così da creare un bacino occupazionale con cui tamponare la carenza di autisti nel breve termine. Tema, questo, imparentato con l’altro dell’immigrazione. E siccome il governo di destra ha dichiarato di voler gestire quella regolare per combattere l’irregolare, il decreto flussi potrebbe fornire un modello utile, perché crea una corsia preferenziale verso settori economici affamati di mano d’opera e che magari potrebbero essere tentati, per soddisfarla, di guardare all’illegalità o di forzare qualche ambiguo istituto giuridico (leggi: distacco).
Una terza misura non-divisiva potrebbe essere quella di abbassare a 19 anni l’età minima per prendere la patente, vale a dire in un momento più prossimo alla fine del percorso scolastico, quando cioè si sceglie una via di accesso nel mondo del lavoro, tralasciando il camion giacché per guidarlo serve aver compiuto 21 anni.
Appare più divisiva, invece, l’attuazione del regolamento UE 1055/2020 legata al requisito dello stabilimento, laddove pretende una proporzione tra il numero di veicoli e autisti in disponibilità di un’impresa e la dimensione del suo fatturato. È evidente, infatti, che gli elevati fatturati di chi ha pochi veicoli vengano creati sfruttando l’intermediazione. Ma stabilire quale sia la proporzione corretta è questione politica, perché al riguardo grandi e piccole imprese hanno interessi fortemente divergenti. Quindi, è probabile che un ministro non-divisivo voglia astenersi dal prendere posizione netta in materia.
Se poi «il ministro che verrà» volesse essere oltre che non-divisivo anche anti-divisivo, mi permetto di suggerirgli di favorire con incentivi economici le aggregazioni tra società attive su modalità diverse. Lo dico perché ricordo che fino a non troppi anni fa strada e rotaia si muovevano «l’una contro l’altra armate», pensando – con un certo strabismo – che fosse in gioco una competizione, tale per cui se la merce sale sul treno, lascia vuoto il camion e viceversa. Oggi non soltanto la logica intermodale si è virata di verde, ma soprattutto è diventata necessaria. Perché sarebbe impossibile convertire in elettrico l’attuale parco circolante diesel, riuscendo a generare l’energia sufficiente a garantire la stessa potenza prodotta attualmente dal gasolio bruciato dai camion. Ragion per cui l’unica transizione possibile per assicurare anche domani alle merci la stessa mobilità di oggi è quella di conciliare il dialogo tra le modalità partendo dal piano operativo, aggregando cioè realtà diverse – attive su strada, ferro o mare – per crearne una sola in grado di far prendere a ogni merce la strada più efficiente, più sostenibile, più economica. E in fondo più rispettosa delle persone, perché un camion che percorre migliaia di chilometri per forza di cose logora chi lo guida, in quanto lo costringe a usuranti trasferte lontano da casa, trascorse in aree di sosta sguarnite, sacrificando la propria vita privata sull’altare del lavoro. Quindi, un’aggregazione intermodale renderebbe più sereno il rapporto tra diverse modalità di trasporto, tra movimentazione delle merci e ambiente e tra giovani e autotrasporto. Tre vantaggi in una norma sola.