L’8 marzo è la Giornata internazionale dei diritti della donna. In Italia più sinteticamente ribattezzata «festa della donna». In ogni caso, nel nostro paese come negli altri è un giorno importante, celebrativo delle conquiste sociali, economiche e politiche ottenute dalle donne nel corso degli anni. Ma che anche sottolinea e ricorda le discriminazioni ancora oggi esistenti – in grado di ostacolare un’autentica parità di diritti – e le violenze a cui le donne sono state soggette (e in parte ancora sono) in tutto il mondo.
Tanta è la strada che, nel corso degli anni, si è percorsa ma tanta ancora ce n’è da fare perché ancora molti stereotipi e pregiudizi accompagnano la donna ogni giorno. Ne è un esempio il settore del trasporto: sebbene negli ultimi anni ci sia stato un aumento della presenza femminile, il trend generale mostra una prevalenza tipicamente maschile.
In Italia, solo il 3% delle donne lavora nel mondo del trasporto, ma la percentuale scende se si considera solo l’autotrasporto, in cui abbiamo solo il 2,1% (maggiori info si trovano nell’articolo a pagina 66 del numero di marzo di Uomini e Trasporti), tant’è che se si cerca “autotrasportatrice” su Google, il motore di ricerca corregge automaticamente con “autotrasportatore”. Non solo. Secondo i dati ISTAT dello scorso anno, il settore del trasporto e magazzinaggio ha un tasso di disparità uomo-donna pari al 95,7%, collocandosi in questo modo al quarto posto tra i settori con un tasso di differenza di genere maggiore.
E questo è un andamento condiviso dalla maggior parte degli Stati europei, in cui è donna soltanto il 5% delle persone al volante.
Nella mentalità collettiva il trasporto non è un settore per donne: come mai?
Le motivazioni sono molteplici e complesse. In questa sede è difficile elencarle tutte. Ma tra le tante, un ruolo importante è dato dai pregiudizi e gli stereotipi di genere, ovvero dalle idee condivise culturalmente circa chi possa o non possa svolgere questo tipo di lavoro. E questi pregiudizi “sulle donne al volante” non provengono solo da uomini, ma anche da altre donne.
Che cosa si intende quando si parla di pregiudizi e stereotipi?
Generalmente, quando si parla di pregiudizio si intende un “preconcetto”, ovvero un giudizio affrettato o una valutazione generalmente negativa, verso un argomento o una persona di cui sa poco o di cui si hanno poche informazioni. Implicitamente hanno spesso una valenza negativa. Un esempio di pregiudizio è «Le donne al volante sono un pericolo costante».
Gli stereotipi, invece, sono delle convinzioni generali circa le caratteristiche di un gruppo, condivise dalla maggior parte delle persone. Permettono di assegnare a tutti i partecipanti le stesse caratteristiche, annullando le differenze interne al gruppo. Un esempio di stereotipo è che «Le donne non sanno guidare».
Perché si ricorre a pregiudizi?
In generale, ricorrere a pregiudizi e stereotipi serve a semplificare la realtà, agevolandone la comprensione, grazie a dei processi veloci e impliciti di categorizzazione e di raggruppamento. In parole povere, favoriscono un ragionamento immediato e, di conseguenza, permettono un grande risparmio di energia mentale (minimo sforzo, massimo risultato).
Qual è il limite di pensare per preconcetti?
Il limite principale dei pregiudizi è senz’altro la messa in atto di un atteggiamento e di un comportamento discriminatorio verso colui che è portatore del pregiudizio. Il problema principale dello stereotipo, invece, è pensare che, quella specifica convinzione si applichi nella maggior parte dei casi, non cogliendo la specificità di ogni persona.
I pregiudizi e gli stereotipi condizionano notevolmente la nostra vita quotidiana, sia in positivo, semplificando le situazioni e permettendo di agire velocemente, ma anche in negativo, quando, per esempio, impongono dei limiti ai nostri obiettivi. In conclusione, esserne consapevoli è importante proprio per evitare di mettere nel cassetto dei sogni che, socialmente, non sono condivisi.