Come è nata la passione per il camion?
Il camion fa parte della mia famiglia da generazioni. Ha iniziato il mio bisnonno, poi mio nonno, mio padre… e alla fine sono arrivato anch’io. Eppure, prima di scegliere questa strada, ho provato anche altri lavori in fabbrica, ma mi sentivo «chiuso», come se mi mancasse qualcosa. Da ragazzo ho studiato pasticceria e mi piaceva, ma alla fine ho lasciato perdere: serviva troppo tempo e sentivo che il mio posto era sulla strada. Qui ho il mio spazio, la mia libertà. Ogni giorno è diverso, ogni viaggio mi porta in un posto nuovo.

Quanto è stato importante per te il supporto dei tuoi genitori nella scelta di diventare camionista?
Da loro non ho mai avuto pressioni, anzi mi hanno sempre detto: «Fai quello che ti rende felice». E oggi posso dire di aver fatto la scelta giusta, senza rimpianti.
Che rapporto hai con tuo padre?
Lavoriamo insieme nella stessa azienda, siamo colleghi. È una cosa bella perché, da bambino, lo vedevo poco: era sempre in viaggio. Oggi, invece, passiamo molto tempo insieme e, in un certo senso, sto recuperando tutto quel tempo che ci è mancato.
Come riesci a conciliare lavoro e vita privata?
Non è facile, bisogna adattarsi. Hai solo due giorni a settimana per fare tutto: stare con la famiglia, vedere gli amici, uscire con la tua ragazza… e poi riposarti. Devi trovare un equilibrio, prenderti quello che c’è e fartelo bastare.

Cosa ti gratifica di più nel tuo lavoro?
Portare a termine incarichi particolari, quelli più delicati, quelli che richiedono attenzione e precisione. Quando arrivo a destinazione e tutto è andato come doveva, sento di aver fatto qualcosa di utile, di aver dato il mio contributo alla collettività.
Che rapporto hai con i tuoi colleghi?
Oggi c’è troppa invidia, poca solidarietà. Una volta gli autisti si aiutavano tra loro, ora ognuno pensa solo a sé. Se hai un problema, difficilmente qualcuno si ferma a darti una mano. È brutto da dire, ma a volte ti senti solo anche in mezzo agli altri.
Cosa ti farebbe sentire più supportato?

Più collaborazione, più comprensione. Invece di puntare il dito contro chi è giovane e inesperto, sarebbe meglio dargli una mano. Sentirsi dire «non sei capace» o «chi te l’ha fatto fare?» non aiuta nessuno. Io credo che si impari sempre, a qualsiasi età, e che nessuno nasca già pronto.
Come affronti la solitudine quando sei in viaggio?
La musica e le telefonate mi fanno compagnia. Poi, quando mi fermo, un po’ di TV o qualche video sul telefono. Ma ci sono momenti in cui senti davvero il peso della solitudine, e allora chiami un amico o la famiglia. Basta una chiacchierata anche veloce per sentirsi meno soli.


Se vuoi par parte anche tu della nostra rubrica e raccontare la tua storia, scrivi a redazione@uominietrasporti.it