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CARTA DI IDENTITÀ
Nome e Cognome | Massimiliano Corletti | |||||||||||||||
Soprannome | O’ Professor | |||||||||||||||
Età | 48 | |||||||||||||||
Stato civile | Congiunto | |||||||||||||||
Punto di partenza | Verona | |||||||||||||||
Anzianità di Servizio | 30 anni | |||||||||||||||
Settore di attività | Trasporto macchinari |
- Quando è nata la passione per il camion?
Alla nascita, letteralmente. Nel senso che per questioni di minuti sarei potuto nascere davvero dentro la cabina di un camion. Mio padre infatti, anche lui camionista, era di rientro da una trasferta proprio nel momento in cui mia madre stava per partorirmi. E così si precipitarono all’ospedale direttamente col camion. Una questione di destino.
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- Come mai quel soprannome?
Hai presente quella persona che sa sempre tutto e rompe le scatole? Ecco, sono io. Comunque, me l’hanno imposto i miei colleghi, anche per via delle mie origini partenopee.
- Raccontaci delle tue origini…
Sono figlio di padre napoletano e madre greca, ma sono nato e cresciuto a Reggio Emilia. Adesso abito in provincia di Padova e lavoro per un’azienda di Verona che trasporta carrelli elevatori e macchinari per la movimentazione merci. Insomma, mi considero un bel fritto misto.
- Come era il rapporto con i tuoi genitori?
Speciale. In particolare con mio padre, che mi ha insegnato tutto quello che so del mestiere. È stato un maestro non solo a livello tecnico, ma anche di vita. Purtroppo dal 2015 non è più tra noi e da allora mi manca terribilmente. Quando mi capita una trasferta all’estero, ancora oggi avrei voglia di chiamarlo per dirgli: «Ciao papà, oggi mi trovo in questo posto bellissimo». E sentirlo felice.
- Com’è la tua vita oggi?
Sono sereno. Ho tre figli che adoro all’inverosimile, di cui uno (un maschietto di sette anni) che ha già la mania del camion. Appena stacco dal lavoro non vedo l’ora di dedicarmi a loro. Ma non è stata una vita semplice. I sacrifici, il lavoro duro, la lontananza da casa e molte rinunce (in termini di tempo ed energie) mi hanno segnato, così come alcuni traumi.
- Ce ne vuoi parlare?
Purtroppo ho perso un fratello alcuni anni fa, per tragico destino investito proprio da un camion. Ma c’è un altro episodio che mi ha segnato profondamente: la morte del migliore amico di mio padre. Si chiamava Massimo Corsini, anche lui era camionista ed era molto legato alla nostra famiglia. Morì una sera di fine anni ’80 a causa di un incidente stradale. Avevo tredici anni quando successe e ricordo ancora nitida la scena di mio padre strozzato dalle lacrime quando apprese la notizia. Fu uno shock per tutti. Solo in quel momento realizzai quanto fosse pericoloso il mestiere che facciamo.
- Parlando di sicurezza, che è poi il tema portante di questo numero, quali sono gli aspetti del tuo lavoro che ritieni critici?
Bisognerebbe investire maggiormente in formazione, sotto tutti i punti di vista: tecnica, conoscenza e rispetto delle regole, consapevolezza dei rischi per la salute associati a questo mestiere (alimentazione scorretta, cattiva qualità del riposo, ecc.).
- E dal punto di vista delle infrastrutture?
Siamo messi male. Abbiamo una rete autostradale che è ridotta a pezzi. Di recente, scendendo sull’A1 da Verona con un carico delicato di transpallet elettrici, mi sono reso conto di aver avuto grossa difficoltà nel guidare il camion, proprio a causa dei tanti avvalli e buche.
- Siamo quindi ancora così indietro?
Sì, l’Italia ha molta strada da fare. All’estero, ad esempio, non è così. E lo dice uno che ha fatto molta Germania.
- Che consiglio daresti alle nuove generazioni?
Studiare, studiare, studiare. Ben venga la passione per il camion, ma oggi serve più che mai un’adeguata formazione.
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