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Altezza metà bellezza? No, impone accortezza

Trascorro ore in ufficio o presso clienti. E l’altro giorno, mentre facevo visita allo stabilimento di un committente, ho visto un nostro camion-cisterna mentre scaricava. A seguire i movimenti dell’autista ho provato un fremito, facendo mente locale sui rischi a cui si esponeva, in particolare salendo sopra la cisterna. Ci sono accortezze da prendere per prevenire tali rischi e chi risponde di eventuali incidenti?
Renato F_Oderzo (TV)

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Le operazioni di carico o scarico, in generale, sono fonte di molti rischi derivanti principalmente dalla tipologia del veicolo, dalla sua predisposizione a tali operazioni, dall’uso di attrezzature/dispositivi e dalle operazioni di fissaggio. Ecco perché, per garantire la sicurezza e la salute dei conducenti e dei terzi che possono essere coinvolti direttamente o indirettamente in incidenti, sono state definite normative sia generali sia specifiche.

Gli aspetti da tenere in considerazione sono molteplici e richiedono conoscenze e competenze trasversali per valutarli e per adottare le giuste azioni, consistenti per lo più in: messa a disposizione dei dpi; formazione; addestramento; verifiche; manutenzioni.

Un aspetto critico è il lavoro in altezza e il conseguente utilizzo dei dispositivi di protezione individuale di III categoria (cosiddetti «salvavita»), tipici nel trasporto di prodotti in cisterna o contenitori cisterna. In tali casi al conducente è richiesto di salire sulla sommità della cisterna sia per svolgere operazioni di apertura-chiusura dei dispositivi di carico-scarico, sia per effettuare un prelievo di campioni, laddove specificatamente richiesto dal committente, in quanto quelli eventualmente estratti dal basso della cisterna, per vari motivi più o meno tecnici, non sono sufficienti.

Le operazioni, già di per sé difficili, sono ulteriormente complicate dall’abbigliamento protettivo (tuta antiacido, ignifuga e antistatica), dai dispositivi di protezione individuale (scarpe di sicurezza, guanti specifici, elmetto, occhiali), dalle condizioni climatiche (pioggia, ghiaccio ecc), dai vapori delle sostanze, dall’assenza di strutture per l’agevole accesso alla sommità della cisterna e alle linee vita a cui attaccare l’imbracatura anticaduta

Tali operazioni, che richiedono al conducente di operare in situazioni già di per sé difficili, sono ulteriormente complicate dall’abbigliamento protettivo (tuta antiacido, ignifuga e antistatica), dai dispositivi di protezione individuale (scarpe di sicurezza, guanti specifici, elmetto, occhiali), dalle condizioni climatiche (pioggia, ghiaccio o caldo torrido), dai vapori delle sostanze, dall’assenza di strutture per il sicuro e agevole accesso alla sommità della cisterna e alle cosiddette linee vita a cui attaccare l’imbracatura anticaduta, necessarie per favorire spostamenti lungo la “passerella”, arrestare eventuali cadute e trasmettere al lavoratore un senso di sicurezza e fiducia.

Altra attività, molto comune e parecchio sottovalutata, malgrado sia ancora più rischiosa rispetto al lavoro sulla sommità della cisterna, è rappresentata dal fissaggio del carico. I conducenti, per ottemperare alle regole di sicurezza del carico, si trovano spesso a svolgere tali operazioni in situazioni rese precarie dall’assenza di idonee scale, da pavimentazioni sconnesse, da scarsa illuminazione, da condizioni meteo difficili e anche dalla mancanza, nello stabilimento di carico-scarico, del personale che dovrebbe fungere da preposto alla sicurezza. Basti pensare, a titolo di esempio, al rischio a cui è sottoposto il conducente “aggrappato” a una scala a pioli nel far passare le cinghie per il fissaggio del carico per attrito su merce non accoppiata oppure molto alta tanto da sfiorare i limiti di sagoma.

La normativa di riferimento è il D.lgs 81/2008 con cui si definisce il lavoro in altezza (o in quota) l’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 metri rispetto a un piano stabile (art. 105).

I principali rischi, quindi, sono rappresentati dalla caduta dall’alto in seguito alla perdita di equilibrio del lavoratore e/o all’assenza di adeguate protezioni (collettive o individuali) e dalla sospensione inerte che, a seguito di perdita di conoscenza, può tramutarsi nella cosiddetta «patologia causata dalla imbracatura» ovvero in un peggioramento delle funzioni vitali più o meno rapido.

Per quanto riguarda le responsabilità, la normativa pone in capo al datore di lavoro diverse incombenze, tra cui la valutazione del rischio, la messa a disposizione di dispositivi di protezione individuale collettiva e individuale (compresa la verifica periodica e l’eventuale sostituzione se ritenuta non idonea o scaduta), la formazione e l’addestramento. Nello specifico contesto dell’autotrasporto, in cui le attività vengono svolte presso diversi «luoghi di lavoro», il campo delle responsabilità si allarga anche ai soggetti degli stabilimenti di carico e scarico con le stesse modalità, così come previsto dalla normativa e come dimostrato dalla giurisprudenza.

Paolo Moggi
Paolo Moggi
Responsabile qualità e sicurezza Gruppo Federtrasporti
Scrivete a Paolo Moggi: certificati@uominietrasporti.it

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