È frequente sentire richiamare, nei contesti più svariati, il principio del primato del diritto europeo. Di cosa di cosa si tratta esattamente? Tale principio sancisce il valore superiore del diritto europeo rispetto ai diritti nazionali degli Stati membri. E vale per tutti gli atti europei di carattere vincolante. Gli Stati membri non possono, quindi, applicare una norma nazionale contraria al diritto europeo. Per meglio chiarire come si espliciti nella pratica il principio del primato può essere interessante portare come esempio un recente caso che potrebbe interessare in concreto anche molti autotrasportatori italiani. Mi riferisco alla sentenza della Corte di Giustizia che ha come oggetto il meccanismo di calcolo dei pedaggi sulle autostrade tedesche.
Come si calcolano i pedaggi autostradali?
In tutti i paesi europei i corrispettivi dovuti dai veicoli pesanti per l’utilizzo delle strade a pedaggio facenti parte della rete transeuropea non sono liberamente determinati dal gestore dell’infrastruttura, ma devono tenere conto di una serie di parametri dettati dalla normativa comunitaria. In particolare, per quanto riguarda i pedaggi applicabili ai veicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada, essi devono essere calcolati applicando i principi introdotti con la direttiva 1999/62/CE, come modificata dalla direttiva 2006/38/CE.
Cosa sono e come si attuano le direttive comunitarie?
Le direttive comunitarie sono una tipologia di atto che, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 288, terzo comma, TFUE «vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi». In altri termini, le direttive necessitano di recepimento da parte degli Stati membri. La trasposizione delle norme dal piano comunitario a quello nazionale è un passaggio delicato che, talvolta, può portare a un recepimento non del tutto conforme allo spirito della norma definito a livello comunitario: di qui il possibile insorgere di contenziosi che, laddove non diversamente composti, possono trovare sbocco avanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Un esempio di non corretto recepimento di una direttiva da parte di uno Stato membro, con conseguente pronuncia della Corte di Giustizia, è rappresentato proprio dalle modalità con cui la Germania ha recepito le ricordate direttive con cui sono stati fissati i criteri per quantificare i corrispettivi dovuti dai veicoli pesanti per l’utilizzo di strade a pedaggio della rete transeuropea.
«La trasposizione delle norme dal piano comunitario a quello nazionale è un passaggio delicato che, talvolta, può portare a un recepimento non del tutto conforme allo spirito della norma definito a livello comunitario»
La Germania non ha recepito correttamente la direttiva sui pedaggi: cosa ha sbagliato?
Fra le voci di costo recuperabili a carico degli autotrasportatori la normativa comunitaria individua i «costi inerenti al funzionamento, alla gestione e al sistema di pedaggio» delle infrastrutture viarie di riferimento. Nel recepire la direttiva, la Germania ha inserito fra i «costi inerenti al funzionamento» quelli necessari a garantire la sicurezza delle reti viarie e, quindi, i costi connessi alla polizia stradale. Dal punto di vista delle scelte di politica legislativa, tale impostazione potrebbe rispondere a una logica condivisibile, in quanto finalizzata a ricondurre in capo a chi li genera quantomeno una parte di costi che sono solitamente esternalizzati, ossia posti a carico della collettività. Occorre, tuttavia, verificare se una simile scelta sia rispettosa o meno dei principi comunitari in materia, che (per effetto del principio del primato del diritto comunitario) rappresentano un insuperabile vincolo per gli Stati membri dell’Unione. In effetti tale normativa tedesca è stata contestata da un trasportatore polacco, che ha avviato un contenzioso avanti alle competenti autorità giurisdizionali tedesche per vedere accertare la non debenza della quota di pedaggio collegata al rimborso dei costi connessi alla polizia stradale. Il tribunale ha ritenuto di sottoporre la questione (in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE) alla Corte di Giustizia, la quale si è pronunciata con la sentenza C-321/19 dd. 28.10.2020.
Sulla base di tale sentenza ogni trasportatore può chiedere la restituzione della parte di pedaggi non dovuta?
Con tale sentenza la Corte di Giustizia ha affermato che «i costi connessi alla polizia stradale non rientrano nella nozione di costi di esercizio» come definiti dalla direttiva comunitaria. Accertata l’incompatibilità del diritto interno tedesco con la normativa europea, la pronuncia prosegue con un’ulteriore rilevantissima statuizione: «Un singolo può invocare direttamente dinanzi ai giudici nazionali l’obbligo di tener conto dei soli costi d’infrastruttura di cui all’articolo 7, paragrafo 9, della direttiva 1999/62, come modificata dalla direttiva 2006/38, imposto da tale disposizione nonché dall’articolo 7 bis, paragrafi 1 e 2, di quest’ultima, contro uno Stato membro qualora quest’ultimo non abbia rispettato tale obbligo o l’abbia trasposto in modo non corretto».
Da ciò consegue che, a fronte dell’intervenuto accertamento della violazione del principio del primato del diritto comunitario, qualunque trasportatore – anche italiano – avrà titolo per agire al fine di vedersi restituire le somme indebitamente corrisposte per quella quota di pedaggi delle autostrade tedesche riconducibili ai costi «connessi alla polizia stradale».