Scorrazzando per la Toscana in modalità ferie – ma durano sempre così poco? – mi sono ritrovato a passare da Massarosa, grazioso comune in provincia di Lucca. All’entrata del paese vedo sulla sinistra la Trattoria La Corteccia, con qualche camion parcheggiato davanti e, visto che ormai si è fatta ora di pranzo, decido di fermarmi. Facendo due chiacchere col giovane proprietario, Graziano Cecchi, scopro con piacere che il locale è stato fondato, anche se in altra sede, nel 1961, l’anno della mia nascita – curiosa coincidenza – e che viene gestito fin dall’inizio dalla sua famiglia nativa di Firenze, giunta con lui alla terza generazione. Il nome della trattoria deriva dal fatto che, all’inaugurazione, piacque molto una scaffalatura per le bottiglie, interamente ricoperta di corteccia di pino. Per continuare la tradizione, di conseguenza, la parte aforistica di questo articolo parlerà appunto di alberi e cortecce.
Volendo cercare il nostro ristorante dobbiamo arrivare al casello di Massarosa della A11 e da lì imboccare via Sarzanese Nord. Alla prima rotonda si prende la seconda uscita verso il centro della cittadina e, dopo circa 700 m, si trova la locanda. In totale dal casello sono 1,7 km. L’esterno è sobrio, con un parcheggio che si apre proprio davanti alla trattoria e che può ospitare una decina di autocarri. All’interno trovo una struttura rinnovata e pulita, in tradizionale stile rustico toscano, divisa in più sale per circa 200 coperti, la maggior parte dei quali occupati da allegri ospiti.
Il menu è alla carta e i prezzi – vi avviso subito – leggermente più alti rispetto al solito. C’è però da dire che le porzioni sono abbondanti e che quindi con un solo piatto ci si sazia agevolmente. Comincio con una tagliatella al ragù di cinta senese e olive nere (per chi non lo sapesse la cinta è una razza suina particolarmente pregiata). Si sente che la pasta è fatta in casa, con la giusta rugosità che raccoglie un sugo molto saporito. Se posso trovare un difetto la scarsità delle olive, che oltretutto hanno ancora il nocciolo (io le avrei snocciolate). L’alternativa “green” che assaggio è la zuppa di farro alla Garfagnana che presenta una buona cremosità e un sapore deciso, dato dall’unione ai fagioli in cottura di alcuni pezzi di crosta di formaggio (è la differenza con una zuppa di farro standard).
Per secondo scelgo la tagliata di pollo, con rucola, radicchio rosso e pomodoro. È cotta bene, la dose è generosa, ma non è che lasci ricordi indelebili. Probabilmente hanno ragione quelli del tavolo accanto che trangugiano un controfiletto di manzo all’aceto balsamico, discreto nel gusto e morbido al punto giusto. È il momento del caffè che però ha un solo difetto: è imbevibile.
Sul servizio nulla da dire, cortese e rapido nonostante il pienone. Non rimane che il conto che è di 20 euro. Certo, non pochi, ma vale il discorso fatto sopra (ad esempio con il solo primo saremmo stati sui 9-10 euro).
Prima di tornare al meritato riposo mi fermo a parlare ancora un po’ con Graziano. Il proprietario mi spiega che la loro cucina cerca soprattutto il rispetto della tradizione locale e l’attaccamento alle ricette originarie. La trattoria ha infatti un motto piuttosto rivelatore in proposito: «È più facile essere fedeli a un ristorante che a una donna». Sono perfettamente d’accordo, ma consiglio anche la fedeltà coniugale. Giusto per non rischiare di essere preso a bastonate dalla propria signora.