Ci occupiamo ancora di violazione dei limiti di velocità accertata mediante autovelox (art. 142 CdS). Prima di parlare del caso specifico, facciamo però un punto generale sulla questione dal punto di vista giurisprudenziale, prendendo spunto da numerosi verbali elevati negli ultimi mesi nella Città metropolitana di Milano. Molti di questi verbali sono stati infatti impugnati da imprese di autotrasporto che hanno deciso di verificare le contestate violazioni per eccesso di velocità, analizzando la documentazione estratta dagli autovelox. Questo perché dagli estratti dal cronotachigrafo – con targa, orario, località e velocità rilevata – la velocità dei mezzi coinvolti era risultata nei limiti o comunque sempre inferiore alla velocità accertata a mezzo autovelox. Dall’esame della documentazione tachigrafica, in altri termini, è emerso che gli autisti delle aziende circolavano senza superare i limiti di velocità ex art. 142 CdS. A questo punto agli autotrasportatori non è rimasto che presentare ricorso al Prefetto o al Giudice di Pace, nonostante la probabile inesistenza delle violazioni contestate.
Il problema è quello già noto ai nostri lettori ovvero il corretto funzionamento degli autovelox installati, nonostante questi siano accompagnati dalla dichiarazione – pressoché ciclostilata – della periodica revisione degli apparecchi e della loro specifica taratura. È infatti ormai accertato che esiste un obbligo giuridico di controllo periodico (di norma annuale) per una costante verifica della funzionalità degli autovelox. Oltretutto i costruttori prevedono anche un dettagliato programma di assistenza e di controllo del corretto funzionamento degli apparecchi.
IL FATTO
Veniamo ora al caso specifico, cioè la sentenza del Giudice di Pace di Milano n.1931 del 31 marzo 2022. A una impresa di autotrasporto veniva contestato l’eccesso di velocità lungo la strada provinciale 14 – Rivoltana (limite 90 km/h). Più precisamente, l’accusa era che «il conducente circolava alla velocità di 98 km/h che, decurtata del 5%, si fissava a 93 km/h». L’azienda montava però sui suoi veicoli un sistema di monitoraggio della velocità, composto da dispositivi di controllo satellitare che monitoravano costantemente ed erano collegati al tachigrafo digitale.
Sul mezzo “incriminato” il tachigrafo digitale era perfettamente funzionante (come da rapporto d’intervento regolarmente eseguito con validità tre anni), verificato in punto taratura e controllato per eventuali manipolazioni/service. La documentazione prodotta in giudizio, oltre al funzionamento adeguato del tachigrafo, certificava che nessun dispositivo di manipolazione era stato rilevato e che il dispositivo era stato piombato con apposito sigillo. A maggior conferma dell’inesistenza dell’infrazione, il limitatore della velocità installato sul mezzo risultava tarato a 90 km/h, come da ricevuta di collaudo, fisso e senza possibilità di superare detta soglia.
Da qui la contestazione dell’impresa alla rilevazione dell’autovelox.
LA DECISIONE
Esaminando la documentazione prodotta in giudizio, il giudice constatava così dal rapporto del cronotachigrafo che la velocità del mezzo coinvolto, nelle circostanze di tempo e di luogo indicate, fosse pari a 90 km/h, velocità sostanzialmente confermata dall’estratto delle apparecchiature satellitari installate sul mezzo, da cui risultava che il camion andasse a 89 km/h. L’ipotesi più accreditabile appare dunque quella di una non correttezza delle contestazioni contenute nel verbale. Il giudice osservava al riguardo che per i dispositivi autovelox è prevista non solo la taratura, ma altresì l’iniziale e costante periodica verifica della funzionalità che deve essere appositamente certificata. Perché dunque l’autovelox sia attendibile esso deve essere sottoposto prima a una verifica di taratura e poi a una verifica di funzionalità (integrità del dispositivo e dei suoi sigilli di piombatura). Non solo. La verifica deve essere certificata da parte dell’operatore, che deve indicare tutte le operazioni specifiche eseguite, e la certificazione che ne consegue deve essere conservata presso gli uffici degli organi accertatori.
Per una certa negligenza, invece, la Pubblica Amministrazione di solito indica semplicemente che una certa verifica di funzionalità è stata eseguita in una certa data oppure produce solo documenti che attestano il funzionamento e l’installazione dell’autovelox. Ma questo non basta: c’è bisogno di specifiche certificazioni di funzionalità e taratura, altrimenti il dispositivo non è ritenuto attendibile.
LE CONSEGUENZE
In conclusione, «nel caso in esame non è stata fornita alcuna prova di questo tipo – conclude il giudice – e quindi non è stato dimostrato che le verifiche di funzionalità fossero effettive». Per queste ragioni il ricorso è stato accolto. Ovviamente ricordiamo che se si vuole fare opposizione a un verbale di questo tipo non si devono pagare le sanzioni per evitare che l’azione venga dichiarata inammissibile.
Da ultimo una precisazione importante. La norma ex art. 142 D. Lgs. 30/04/1992, n. 28, ha come ratio la tutela della sicurezza della circolazione stradale e della sicurezza sociale. L’uso delle apparecchiature di rilevazione della velocità ha quindi la propria giustificazione nella prevenzione degli eccessi di velocità e dei conseguenti pericoli per gli utenti della strada. Ma, come dice la normativa, «qualsiasi strumento di misura è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi a variazioni dei valori misurati, dovute a invecchiamento delle proprie componenti e a eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione». Per poter fare affidamento sul corretto funzionamento delle apparecchiature utilizzate, quindi, si devono eseguire verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, ma anche straordinarie se del caso, altrimenti l’affidabilità degrada in assoluta incertezza se le verifiche – periodiche e/o straordinarie – non vengono eseguite.