La sentenza che commentiamo oggi – che risale a fine dicembre 2022 – è riferita a una violazione della normativa sul tachigrafo, ma in realtà ha importanza più ampia in quanto fissa un principio che potrebbe estendersi anche ad altre fattispecie giuridiche. Vediamo la vicenda.
IL FATTO
Si parte con il ricorso contro un’ordinanza del Prefetto di Firenze relativa a due verbali della Polizia stradale del capoluogo toscano, che contestavano le violazioni dell’art. 179, 2º e 9º comma Cds (cronotachigrafo non regolare e sospensione della patente di guida).
La società ricorrente, patrocinata dall’avvocato Roberto Iacovacci, aveva sottoposto all’attenzione del giudice alcune obiezioni: carenza di motivazione delle ordinanze prefettizie; insussistenza della violazione contestata; scarsa leggibilità del verbale; omessa sottoscrizione del preteso trasgressore nella parte del provvedimento relativa alle dichiarazioni rese; mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sulla P.A.; assenza di potere del soggetto emittente l’ordinanza per omessa delega del Prefetto. Sulla base di questi motivi si chiedeva l’annullamento dei provvedimenti impugnati, previa sospensione della loro esecuzione.
Come si vede, le deduzioni della parte colpita dalla sanzione riguardano in gran parte difetti formali del provvedimento punitivo, quindi necessitano di uno scrupoloso esame della documentazione. Il giudice di pace, di conseguenza, aveva ordinato alla Prefettura di depositare nei termini dì legge la documentazione relativa agli accertamenti e alla notificazione delle contestazioni, riservandosi sull’istanza di sospensiva all’udienza di comparizione. Ma sorprendentemente la Prefettura di Firenze decideva di non apparire all’udienza, costituendosi via PEC.
LA DECISIONE
Ora – spiega il giudice di pace – la Cassazione, nella sentenza n. 20575 del 29 settembre 2020, ha dichiarato inammissibile la costituzione via PEC di parte convenuta (o resistente) dinanzi al giudice di pace. Infatti, il deposito degli atti non può avvenire mediante l’invio per posta certificata, non essendoci nessuna legge che autorizza tale invio al giudice di pace, diversamente da altri organi giudicanti (come appunto nel caso della Cassazione civile).
In altri termini, davanti al giudice di pace «la costituzione, sia nel giudizio di cognizione ordinario che in quello di opposizione a sanzione amministrativa… non può avvenire mediante posta elettronica certificata o tramite invio di raccomandata on line ai server delle poste italiane».
Inoltre, nel processo di opposizione è onere dell’amministrazione resistente fornire la prova della sussistenza della violazione, dovendo cioè dimostrare gli elementi costitutivi dell’illecito contestato (mentre sarebbe compito del ricorrente dimostrare fatti estintivi ed impeditivi della pretesa punitiva nei suoi confronti).
Poiché dunque la Prefettura di Firenze non può costituirsi via PEC, nemmeno può trasmettere elementi di prova che comportino «il riconoscimento della fondatezza dell’azione intrapresa contro l’opponente». La Prefettura aveva infatti inviato al giudice i documenti via posta elettronica, ma questa è da considerarsi come se non esistesse (la formula giuridica è tamquam non esset), non idonea insomma a fornire un supporto istruttorio o elemento di prova a fondamento della sanzione.
LE CONSEGUENZE
In conclusione, non essendoci elementi di prova consultabili e non potendosi provare le violazioni del presunto trasgressore, il ricorso è stato accolto e l’ordinanza-ingiunzione annullata.
Al di là delle conseguenze pratiche della causa – pagamento delle spese processuali di 180 euro per la Prefettura, oltre al rimborso delle spese generali al 15% – l’aspetto interessante della decisione riguarda l’accoglimento della documentazione che, in tutta evidenza, per essere ammessa dovrà comportare la costituzione della PA non via PEC e la presenza materiale degli elementi di prova in mano al giudice per l’esame.