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Ribaltata sentenza di annullamento del giudice di pace di Bergamo di 15 multe per velocità eccessiva

Il Tribunale di Bergamo ha dato ragione al Comune di Treviolo, ritenendo che il giudice di pace di primo grado non potesse decidere sulla localizzazione – in Italia o all'estero – delle violazioni, perché tale motivazione non era contenuta nel ricorso presentato dall'azienda di autotrasporto sanzionata

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Come è noto, non sempre le sentenze di primo grado sono quelle definitive, anzi il giudizio d’appello spesso rovescia l’esito della querelle. È il caso di una decisione del giudice di pace di Bergamo che avevamo pubblicato lo scorso 22 novembre.

IL FATTO

In quel caso – sentenza n. 451/2022 – il giudice di prima istanza aveva cancellato 15 verbali della polizia locale di Treviolo per quasi 14 mila euro (oltre a un provvedimento di fermo amministrativo) nei confronti di un veicolo con rimorchio di un’azienda di autotrasporto romena, perché a suo giudizio non vi era prova che quelle violazioni per eccesso di velocità fossero avvenute in Italia o all’estero. A causa di questo stato di incertezza le multe erano state annullate.
Il Tribunale di Bergamo, in sede di appello, ha invece riesaminato la questione ed emesso una sentenza (n. 1288/2023) che smentisce il giudizio di primo grado e rovescia l’esito a favore del Comune di Treviolo, come da comunicazione che ci è stata inviata dallo Studio legale Di Santo & Cagliani, rappresentanti dell’ente lombardo in giudizio, che ringraziamo per la precisazione. Vediamo ora la motivazione.

LA DECISIONE

Nel giudizio d’appello, al quale la società di trasporto merci non si è presentata, il Tribunale bergamasco ha evidenziato la mancata corrispondenza tra quanto chiesto dal multato e la pronuncia del giudice di pace. L’azienda condannata, in altre parole, non aveva incluso tra i motivi di opposizione la non chiarezza sul fatto che le violazioni fossero state commesse all’estero e non in Italia. Di conseguenza, il giudice non avrebbe dovuto fondare la propria decisione su questo motivo, in ragione del principio stabilito a più riprese dalla Cassazione secondo cui «nel giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di somma di denaro a titolo di sanzione amministrativa… (deve esserci) corrispondenza tra chiesto e pronunciato». In questi casi il diritto parla di “vizio di extrapetizione”.
La mancata corrispondenza tra quanto chiede il ricorrente e quello che il giudice decide si ha precisamente quando il giudice si pronuncia «oltrepassando i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti o su ciò che esula in generale dal giudizio in questione». Per non incorrere nel vizio di extrapetizione, la domanda deve perciò essere «interpretata da parte del giudice solo tenendo conto dell’oggetto della domanda e del contenuto effettivo della pretesa».
La presenza del vizio comporta come conseguenza la nullità della sentenza del giudice di pace, secondo un consolidato orientamento sempre della Cassazione. Ma il Tribunale che ha rilevato la nullità non può rimettere la causa al primo giudice, perché l’ipotesi in oggetto non rientra tra quelle tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 del Codice di procedura civile. Inoltre poiché l’azienda di trasporto è rimasta contumace nel giudizio di appello, non ha adempiuto all’onere, a suo carico, «di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volontà di riproporre le domande e ad eccezioni respinte o dichiarate assorbite nel giudizio di primo grado, al fine di superare la presunzione di rinuncia e quindi la decadenza di cui all’art. 346 Codice di procedura civile (le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate – ndr)».

LE CONSEGUENZE

In conclusione, il Comune di Treviolo ha vinto il giudizio di secondo grado e ottenuto l’annullamento del provvedimento emesso dal giudice di pace di Bergamo, viziato dall’aver preso in considerazione «un rilievo essenziale mai riferito dalle parti in causa e, più specificamente, da parte del ricorrente in opposizione alla sanzione amministrativa ex art. 7 D.lgs. 150/2011».
L’azienda è stata inoltre condannata al pagamento delle spese processuali.

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