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Retribuzione autisti: deve essere commisurata alle ore di lavoro effettivamente svolte

Il Tribunale di Napoli condanna un’azienda di trasporto a pagare la differenza retributiva a un autista che, assunto con contratto part-time, veniva impiegato con un orario di lavoro a tempo pieno o comunque molto superiore a quello contrattualmente previsto

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La sentenza di oggi si occupa di differenze retributive e, in particolare, di un caso in cui la prestazione oraria fornita era assai superiore a quanto convenuto nel contratto di assunzione, anche se veniva remunerata come se si trattasse di un contratto part-time. Si tratta di una decisione del Tribunale di Napoli, la n.359/2023.

IL FATTO

Il conducente che ha fatto ricorso spiegava di aver lavorato in modo continuativo per un anno e mezzo per una società di trasporto di generi alimentari (principalmente surgelati e frutta) come autista, mansione che rientrava nel livello 4J del CCNL “Autotrasporto merci e logistica” nel quale era stato correttamente inquadrato. Ma, nonostante il contratto parlasse di un regime orario part-time al 60%, il nostro autista lavorava in realtà dal lunedì al sabato, dalle 04:30 alle 17, con un’ora di pausa, per un totale di 69 ore di lavoro settimanale. Ogni giorno, si era recato presso la sede alle ore 4:30, iniziando poi il giro di consegne della merce agli esercizi commerciali situati in città del Sud (ad esempio, in provincia di Napoli), come si poteva dedurre anche dai fogli di lavoro. Aveva in sintesi lavorato mediamente – secondo lui – per 298 ore al mese, di cui 13 di straordinario notturno e 115 di straordinario diurno. Sosteneva però di essere stato costretto a sottoscrivere buste paga con importi per un orario di lavoro inferiore rispetto a quello effettivo, percependo così una retribuzione giornaliera più bassa (oltre a 13sima e 14sima mensilità) e con due settimane di ferie non retribuite. Quando poi il rapporto di lavoro si era concluso non aveva incassato né le indennità di fine lavoro né il TFR.

LA DECISIONE

Chiamata in giudizio l’azienda non si presentava, già circostanza favorevole al ricorrente, che oltretutto si avvaleva di alcuni testimoni a sostegno delle sue pretese. E appunto sulla decisione del giudice del lavoro pesava la testimonianza di alcuni colleghi, peraltro anche loro con cause pendenti con la ditta sempre per differenze di stipendio.
Gli ex colleghi dell’autista ricorrente lo avevano conosciuto quando operava per la società e informavano il tribunale che aveva presumibilmente la patente B, perché conduceva un automezzo con portata fino a 35 quintali dove trasportava prevalentemente surgelati e freschi, «anche se all’occorrenza viaggiava insieme ad altri colleghi anche su camion più grandi». Uno dei testimoni aveva lavorato insieme al ricorrente e confermava che si recava prevalentemente a Napoli e provincia, partendo intorno alle 4:30, massimo 5 del mattino, a giorni alterni: «Ma molto spesso, quasi sempre – aggiungeva un altro ex collega – quando andavamo più lontano o dovevamo caricare il camion iniziavamo a lavorare tra le 1 e le 3 di mattina». L’orario delle 5 era confermato anche dal fatto che «ci incontravamo durante i viaggi e prendevamo il caffè insieme lungo la strada». Una volta alla settimana circa, il nostro autista – spiegavano ancora gli ex colleghi – partiva dal parcheggio intorno alle 2/2:30 di notte e non tornava mai prima delle 17: «Anzi bisognava essere fortunati per fare così presto, in quanto dovevamo effettuare almeno 10-12 consegne». Secondo le testimonianze, la maggior parte degli autisti rientrava quindi più o meno alle 17 dal lunedì al sabato, con esclusione di domenica e festivi. Un altro testimone affermava poi che in caso di viaggi lunghi si rientrava anche alle 20, anche perché era necessario pulire il camion. Per mangiare «ci dovevamo organizzare per fruire della pausa pranzo; di fatto mangiavamo sul camion viaggiando». Ciascun autista fruiva infine di ferie per una sola settimana nel periodo estivo secondo i turni.

LE CONSEGUENZE

In conclusione, il giudice non può che accertare che tutte queste testimonianze sono concordanti e che le deposizioni confermano integralmente l’orario di lavoro prospettato, così come confermato anche dalla documentazione, ovvero dai borderò, che inoltre provano la fruizione solo parziale delle ferie. Visto quindi – dice il tribunale – che è sicura la presenza di un rapporto di lavoro subordinato, «sarebbe spettato alla società di trasporto, in virtù di una generale presunzione di persistenza delle situazioni giuridiche, fornire piena dimostrazione dell’adempimento della prestazione retributiva». Ma così non è stato, vista l’assenza della controparte.
Il tribunale ha allora deciso a favore del conducente e ha determinato la differenza retributiva a suo favore sulla base dei conteggi contabili da lui allegati al ricorso, «in quanto formalmente corretti ed immuni da vizi ed errori». Secondo questi conti, risulta un credito in favore del ricorrente che va poi maggiorato, ex art. 429 co. 3 c.p.c., degli interessi legali sulle somme annualmente rivalutate, dalla data di maturazione delle singole voci del credito al saldo.
In sostanza l’azienda di trasporto è stata condannata al pagamento delle differenze retributive rivalutate e agli interessi, oltre alle spese del giudizio.

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