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Lavoro subordinato con licenziamento orale, riconosciuti solo straordinari e ratei maturati su ferie e permessi

In una causa di lavoro proposta da un trasportatore il Tribunale di Napoli Nord gli ha dato parzialmente ragione, negandogli però le somme pretese per lavoro festivo, tredicesima e quattordicesima mensilità e indennità di mancato preavviso

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Nelle cause di lavoro che riguardano l’autotrasporto merci non sempre il trasportatore che richiede il pagamento di somme – a suo parere – dovute riesce a ottenere la piena accoglienza delle sue pretese. Ne è un esempio la sentenza che andiamo a esaminare oggi, la n. 3356/2023 dello scorso 13 luglio, emanata dal Tribunale di Napoli Nord.

IL FATTO

Il conducente che aveva fatto ricorso giudiziale raccontava di aver lavorato – guidando una motrice da 9.60 mt, con portata di 150 quintali – alle dipendenze di una società di trasporto dal 03.10.2019 al 31.01.2021, essendo però stato regolarmente inquadrato nel CCNL Logistica solo fino al 30.09.2020. Successivamente, l’autista era stato licenziato oralmente. Il guidatore aveva affermato di aver svolto per tutto il periodo la sua mansione dal lunedì al venerdì, dalle ore 4 alle ore 20, e il sabato dalle 8 alle 12:30, tra l’altro godendo di una sola settimana di ferie nel mese di agosto. Per questo lavoro, inoltre, aveva sì ricevuto la retribuzione indicata nei conteggi portati all’attenzione del giudice, ma lamentava di non aver ottenuto altre somme garantitegli. In particolare: le differenze indicate nei conteggi a titolo di retribuzione per lo straordinario svolto, le ex festività, l’indennità per le ferie non godute, la tredicesima e la quattordicesima mensilità. In aggiunta, dichiarava di non aver ricevuto alcunché a titolo di indennità di mancato preavviso. Sulla base di questi argomenti, previo accertamento della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo non regolarizzato, nonché dell’intervenuto licenziamento orale, chiedeva la condanna della sua ex società – che comunque rimaneva contumace e non si presentava in giudizio – al pagamento di quasi 58 mila euro, più interessi e rivalutazione. Il ricorrente, a comprova delle sue affermazioni, chiamava a testimoniare due altri lavoratori dell’azienda che confermavano per la maggior parte la situazione descritta.

LA DECISIONE

Il Tribunale, esaminata la questione, decideva però solo in parte a favore del trasportatore. Queste le argomentazioni.
1) Innanzitutto, il giudice ha ricordato che «l’onere di provare la durata della prestazione, nonché, al suo interno, la misura dell’effettivo impegno lavorativo in termini di giorni e ore, grava sempre sul lavoratore che agisca per il riconoscimento del diritto al pagamento delle retribuzioni o di differenze di retribuzione ex art. 2697 Codice civile». E il fatto che la società non si sia presentata davanti al Tribunale «non equivale ad ammissione delle circostanze dedotte nel ricorso né… ad una manifestazione di volontà favorevole alle pretese dell’attore».
2) Per quanto riguarda il lavoro straordinario, poi, anche qui è il lavoratore che deve «fornire la prova positiva dell’esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente, previsti», prova che la giurisprudenza richiede come “piena e rigorosa”. In sintesi: grava sul lavoratore, attore in giudizio, l’onere di provare non solo lo svolgimento di lavoro straordinario ma anche la sua effettiva consistenza.
3) Passando alle ferie – afferma il Tribunale – la Cassazione ha costantemente affermato che «il lavoratore che agisca in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie non godute ha l’onere di provare l’avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni a esse destinati… mentre incombe al datore di lavoro l’onere di fornire la prova del relativo pagamento». In questo caso, la perduranza del rapporto dall’1.10.2020 al 31.01.2021 è stata confermata dal primo teste, peraltro anche lui con un giudizio in corso nei confronti della società resistente con lo stesso oggetto («Il ricorrente è arrivato dopo di me… ed è andato via un mese prima di me»). Stessa conferma per la sola settimana di ferie goduta.
4) Per quanto riguarda infine l’orario di lavoro, il giudice conferma lo svolgimento della prestazione, ma unicamente dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 20 e il sabato dalle 8 alle 12.30. Per capire il perché facciamo una premessa. Non è importante che i due testimoni chiamati abbiano un giudizio in corso nei confronti della società. Infatti, in una controversia di lavoro tra datore di lavoro e un suo dipendente possono essere sentiti come testi altri dipendenti, anche se hanno instaurato, a loro volta, «altri separati e analoghi giudizi nei confronti del comune datore di lavoro». Questo, per il diritto, è infatti un interesse di mero fatto che non comporta l’incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. (anche nell’ipotesi in cui tali giudizi siano riuniti). Per interesse di mero fatto si intende quello che un testimone può avere «a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra altre parti, ma identica a quella tra lui ed un altro soggetto ed anche se quest’ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere resa». E quindi i due testimoni chiamati a deporre dal ricorrente lo possono fare anche nel caso in cui le cause connesse (per identità di questioni) vengano riunite, ovviamente facendo grande attenzione all’attendibilità di queste deposizioni. Altrimenti – come si può ben capire – due o più lavoratori potrebbero concordare deposizioni di comodo per ottenere più soldi.
Ora, l’attendibilità può essere misurata sotto il profilo intrinseco – guardando al tenore delle dichiarazioni per vedere se sono precise, chiare e non contraddittorie – e sotto il profilo estrinseco – rilevando i riscontri inequivocabili tra la deposizione del teste e ogni altro elemento acquisito in giudizio. In questo caso la prima credibilità si desume dal fatto che «i testi abbiano offerto dichiarazioni in alcuni punti anche vaghe o imprecise, lasciando trasparire la genuinità delle stesse. Le dichiarazioni appaiono cioè spontanee e tutt’altro che compiacenti, oltre ad essere, comunque, fondate sulla diretta percezione dei fatti». La seconda attendibilità circa la durata del rapporto si riscontra dall’estratto contributivo depositato dal ricorrente (a seguito di ordine di integrazione documentale), dal quale emerge che «il datore ha provveduto a regolarizzare il rapporto anche per il periodo ‘a nero’ dedotto in ricorso».
Peraltro, le deposizioni dei testi circa l’orario di inizio della giornata lavorativa sono imprecise. Il riferimento alle “3-4 di mattina” contrasta con l’affermazione di inizio lavoro di un autista alle 7 e dell’altro alle 5-5.30. Non è cioè possibile determinare il preciso orario e l’esatta frequenza con la quale le consegne venissero svolte. Di conseguenza la prova della durata della prestazione lavorativa va limitata all’orario dalle 7-20 dal lunedì al venerdì e 8-12:30 il sabato. Sulla base di questi calcoli lo straordinario accertato va dunque fissato a 19,5 ore settimanali.

LE CONSEGUENZE

Veniamo al dunque. Innanzitutto, il Tribunale partenopeo spiega che «nulla può riconoscersi a titolo di lavoro festivo, avendo il ricorrente dedotto nel ricorso di aver ‘lavorato, sebbene raramente, durante i giorni festivi». Un’affermazione generica non avvalorata da documentazione. Lo stesso vale per il riconoscimento di somme a titolo di ROL (riduzione dell’orario di lavoro) e festività soppresse, anche in questo caso non comprovate dal ricorrente. E niente da fare anche per tredicesima e quattordicesima mensilità, per le quali il trasportatore si richiama ai conteggi, in cui però tali emolumenti non figurano. La domanda è infine stata rigettata anche per l’indennità di mancato preavviso, perché «gli allegati portati in giudizio relativi alle modalità di cessazione del rapporto sono oltremodo generici, non essendoci nemmeno individuato il soggetto che avrebbe esercitato il potere di recesso».
Alla fine, il Tribunale riconosce unicamente i ratei residui maturati relativamente alle ferie e ai permessi come risultanti dalla busta paga, pari a 124,86 ore per le ferie e 72,02 ore per i permessi. Per quantificare il dovuto il giudice ha utilizzato come parametro la retribuzione oraria risultante dalle buste paga (10,41 euro), sottraendo il percepito indicato nei conteggi.
Allo straordinario – anche qui in assenza di allegati relativi alle modalità di determinazione e calcolo dello stesso – va applicato il combinato disposto dell’art. 2108 c.c., dell’art. 5 d.lgs. 66/2003 e dell’art. 5 R.D. 692/1923, con conseguente maggiorazione del 10% della retribuzione oraria tabellare sopra individuata.
Le somme spettanti a titolo retributivo sono così stabilite in oltre 32 mila euro, su cui «sono dovuti gli interessi legali con decorrenza dalla data di maturazione del credito – coincidente nel caso del TFR con la data di cessazione del rapporto di lavoro – fino al saldo».
L’azienda dovrà inoltre pagare al ricorrente le spese di lite, corrispondenti a circa 3.500 euro.

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