All’interno di una struttura aziendale è la tipologia di lavoro svolta che identifica il livello di retribuzione cui ha diritto un dipendente e non il mero dato formale con cui questi è stato inquadrato nell’organigramma della società. Questo principio generale è stato nuovamente ribadito in una sentenza del Tribunale di Reggio Emilia (n.10/2023) che ora andiamo a esaminare.
IL FATTO
Al tribunale aveva fatto ricorso un lavoratore che era stato alle dipendenze di una ditta in due momenti separati e cioè dal 10 gennaio al 26 ottobre 2018 e dal 12 novembre 2018 al 30 giugno 2019. Il lavoro svolto era quello di autotrasportatore, ma l’inquadramento nel contratto parlava di operaio al 5° livello. Il ricorrente riteneva, per il tipo di mansioni svolte, di avere diritto ad essere inquadrato al livello/categoria 3 del contratto di settore e a essere retribuito con il relativo trattamento economico, accertato che «la parte resistente al momento della cessazione del rapporto di lavoro aveva omesso il pagamento di fine rapporto e non avesse riconosciuto il superiore inquadramento richiesto». L’azienda non si presentava al dibattimento.
LA DECISIONE
Dopo l’istruttoria, la deposizione dei testi e anche sulla base della mancata comparizione in aula dell’impresa per essere interrogata, il Tribunale reggiano ha ritenuto provato che «il ricorrente abbia svolto la mansione di autotrasportatore nel corso dei due contratti a tempo determinato».
Infatti, nel primo contratto di lavoro è prevista come mansione quella di camionista trasportatore di livello B e nel secondo quella di autotrasportatore. Inoltre, anche nelle buste paga è descritta la mansione di autista/autotrasportatore, «seppure il ruolo indicato sia quello di inquadramento al 5 livello».
«Ma – spiega l’organo giudicante – le mansioni di autotrasporto non rientrano nel 5 livello, ma nel richiesto livello 3, in cui è indicato come profilo quello di autisti conducenti autotreni o autoarticolati di portata inferiore a 80 quintali».
In aggiunta il tribunale emiliano ha riconosciuto il mancato pagamento del mese di giugno 2019, del TFR e delle altre somme di fine rapporto, «non avendo la parte resistente, che non si è costituita in giudizio, provato, come sarebbe stato suo onere, di avere pagato tali somme».
LE CONSEGUENZE
La società è stata perciò condannata a corrispondere al trasportatore le relative differenze retributive e, quindi, la somma lorda fiscale e netta previdenziale come da conteggio prodotto, «oltre gli interessi legali e la rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo». Infine, anche le spese processuali sono andate a carico della ditta.