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Il tempo di carico/scarico delle merci non costituisce interruzione della guida

La Cassazione dà ragione ai giudici di merito per il quale il tempo dedicato ad altre mansioni collegate all'impiego di autotrasportatore deve essere considerato orario di lavoro e quindi incluso nel tempo al volante. Le interruzioni di guida non sono perciò utili se ciascuna di esse non copre il periodo temporale necessario a riposarsi dalla guida stessa

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Ci occupiamo oggi di una recente sentenza della Cassazione Civile ( n. 27324 del 22 ottobre 2024) che si è occupata di alcuni problemi legati al rispetto dei tempi di guida e di riposo. È una decisione particolarmente illuminante, perché riassume e cristallizza alcuni concetti base in materia che, dato l’alto livello della Corte, costituiscono un prezioso vademecum per chi avesse dubbi sulla corretta applicazione delle norme di legge in mteria.

IL FATTO

La Direzione territoriale del lavoro di Chieti-Pescara aveva contestato ad un conducente di un’azienda di trasporto – a sua volta responsabile in solido – di non aver effettuato gli obbligatori periodi di pausa dalla guida in sette diversi giorni e di conseguenza aveva emanato un verbale di accertamento di illecito amministrativo con relativa sanzione. Autista ed azienda avevano fatto ricorso al Giudice di pace di Chieti – con le motivazioni  che vedremo in seguito –  che però lo aveva rigettato. Ulteriore istanza alla Corte d’appello che però confermava anch’essa la sentenza di primo grado. Non restava dunque all’azienda e al conducente che adire la Cassazione. Ma anche in questo caso la Corte Suprema decideva contro i ricorrenti. Spieghiamo allora più in particolare le motivazioni della sentenza.

LA DECISIONE

Gli Ermellini affrontano e smontano in maniera certosina tutti i motivi addotti dal trasportatore e dalla sua ditta.

  1. La prima motivazione contesta il potere di accertare ed irrogare sanzioni in materia di violazione delle norme sulla circolazione stradale da parte degli Ispettori del lavoro, ma per la Corte è infondata. Questo perché la giurisprudenza riconosce unanimemente al Ministero del Lavoro non solo poteri di accertamento, ma anche sanzionatori, in materia di violazione del regolamento comunitario sulla disciplina del trasporto su strada, (oltretutto riconosciuta espressamente nell’art. 174 comma 2 Codice della Strada). Le disposizioni del regolamento n. 561/2006 – dice la Corte – perseguono «finalità di garantire sia la sicurezza dei trasporti su strada, sia la protezione dei lavoratori addetti a tale attività». E così come gli obblighi posti a carico del datore di lavoro soddisfano indirettamente anche l’esigenza di sicurezza dei trasporti; analogamente gli obblighi posti a carico dei conducenti proteggono anche l’attività lavorativa dei conducenti medesimi. Da qui si deduce che «la ripartizione delle competenze per i controlli su strada – e quindi sui conducenti – attribuita agli organi di polizia e per i controlli nelle imprese – e quindi sui datori di lavoro – attribuita agli organi ispettivi (fra cui le Direzioni provinciali del lavoro) non importa separazione, ma complementarietà dei due livelli di protezione. In sostanza vale il principio per cui «in tema di violazioni delle disposizioni previste dall’art. 174 CdS, l’esame dei registri di servizio e dei dischi cronotachigrafi installati sull’autoveicolo è finalizzato all’accertamento del rispetto dei limiti temporali dell’orario di lavoro e risponde, quindi, alla duplice esigenza di garantire la sicurezza della circolazione e di tutelare i lavoratori addetti al settore dell’autotrasporto. Pertanto, la competenza a svolgere tali verifiche e irrogare le relative sanzioni appartiene, oltre che ai soggetti normalmente preposti alla sicurezza stradale, anche all’ispettorato del lavoro».
  2. Secondo motivo di recriminazione dei sanzionati è che – a loro dire – il Tribunale di Chieti non avrebbe tenuto conto, per due giornate, del fatto che l’autista aveva omesso di annotare manualmente sull’apparecchio di controllo le pause da lui effettuate, avendo disinserito la scheda mentre si allontanava dal mezzo. Ma anche qui la Cassazione spiega l’infondatezza della motivazione. Infatti il titolare dell’impresa di trasporto deve tenere correttamente i documenti di viaggio attestante i tempi di guida e di riposo effettuati dai conducenti prescritti dalla normativa europea, tra cui le rilevazioni effettuate sia con cronotachigrafo digitale che analogico. Ma esiste anche un secondo obbligo, quello di annotare a mano o mediante apposito dispositivo i tempi passati a svolgere attività che comportano l’allontanamento dal mezzo (le c.d. «altre mansioni»). È pertanto onere del conducente provvedere alla corretta formazione della documentazione che attesti i tempi di guida, i periodi di tempo dedicati alle altre attività connesse, diverse dalla guida e incluse nell’orario di lavoro, e quelli di interruzione e riposo. In questo caso il giudice di merito – spiega la Cassazione – ha rilevato correttamente l’inutilità delle interruzioni non annotate sul supporto cartaceo dal conducente che è obbligato dalla legge a effettuare e «l‘ulteriore inefficacia delle poco convincenti deposizioni dei testi addotti dallo stesso».
  3. La Corte tratta infine il terzo motivo del ricorso, ovvero la richiesta della nullità della sentenza d’appello perché il giudice avrebbe sbagliato ad includere nel calcolo dei tempi di guida massimi consentiti anche quelli impiegati dall’autista per il carico e lo scarico delle merci e delle altre attività lavorative diverse dallo stare al volante, Ma anche qui le argomentazioni sono state giudicate insussistenti dalla Cassazione. Premessa del giudice: l’esame dei registri di servizio e dei dischi cronotachigrafi risponde alla duplice esigenza di garantire la sicurezza della circolazione e la tutela del lavoratore e si deve perciò tenere conto di questa doppia ragione nell’interpretazione delle norme che determinano le modalità di calcolo dei tempi di guida a cui i conducenti devono alternare dei tempi di riposo. Ai sensi dell’art. 4 primo comma, lettera d) del Regolamento UE n. 561/2006, per «interruzione» deve dunque intendersi un «periodo in cui il conducente non può guidare o svolgere altre mansioni e che serve unicamente al suo riposo». Quindi – dice la Corte – in quel lasso di tempo l’autista deve godere della sua inattività e cioè non guidare, ma nemmeno svolgere le famose «altre mansioni» di cui sopra, ovvero nessuna delle «attività comprese nella definizione di orario di lavoro diverse dalla guida». Se ne deduce che non costituisce effettiva interruzione la sospensione  dalla guida in cui il conducente però si occupa del carico e dello scarico delle merci. Pertanto – conclude la Corte Suprema – ha ragione il giudice di secondo grado a ritenere che le interruzioni alla guida non risultano significative ai fini del calcolo della corretta alternanza tra tempo di guida e tempo di riposo, se questi non costituiscono un momento di effettiva sospensione dell’attività lavorativa, cioè non solo l’attività di guida, ma anche gli altri compiti inclusi normativamente nell’orario di lavoro degli autotrasportatori.

LE CONSEGUENZE

In conclusione, anche in terzo grado il ricorso è stato rigettato e azienda e guidatore hanno dovuto pagare anche le spese di giudizio in favore del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Ispettorato del Lavoro di Chieti-Pescara.

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