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Gravi condotte extra-lavoro possono causare il licenziamento per giusta causa

La Cassazione ha confermato il licenziamento di un conducente di autobus per giusta causa a seguito di una condanna penale per violenza sessuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali. Il lavoratore è infatti tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti che possano ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso

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Oggi ci occupiamo di una sentenza della Cassazione (n. 31866/2024) che esamina un caso piuttosto scabroso riguardante un conducente di autobus, ma con una vicenda che potrebbe applicarsi per similitudine anche ad altre fattispecie di conducenti dipendenti, come appunto gli autotrasportatori.

Augurandoci che di queste brutte storie se ne verifichino il meno possibile e ringraziando per la segnalazione lo Studio De Luca & Partners, precisiamo che la Corte di Cassazione ha voluto chiarire in questo caso un confine spesso labile, ovvero quello tra la giusta causa di licenziamento e le condotte extralavorative.

IL FATTO

Veniamo al fatto. Un autista di autobus viene licenziato per giusta causa dopo essere stato condannato alla pena detentiva di due anni e sei mesi di reclusione per violenza sessuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali. Il conducente però impugna il licenziamento, sostenendo l’estraneità delle proprie condotte rispetto all’attività lavorativa, ma non trovando accoglienza alle sue richieste né in primo grado né in Corte d’Appello. Entrambe confermano infatti la legittimità del recesso per giusta causa sulla base di tre considerazioni.

In particolare, la Corte Territoriale ritiene, in primo luogo, che la commissione da parte del dipendente, in un lungo arco temporale, di fatti ripetuti ed abituali di estrema gravità ( quali appunto la violenza sessuale nei confronti della moglie, i maltrattamenti con umiliazioni ed atteggiamenti prevaricatori verso la stessa e le lesioni personali) integri a tutti gli effetti la giusta causa di licenziamento. Tali atti riprovevoli, infatti, evidenziano la concreta possibilità che il conducente di autobus «potesse perdere l’autocontrollo e venir meno agli essenziali obblighi di rispetto e di diligenza nei confronti degli utenti del servizio o di terzi, atteso che le mansioni svolte comportavano la guida di veicoli nel traffico e il costante contatto con il pubblico».

Nel valutare poi la legittimità del licenziamento, la Corte d’Appello tiene anche conto della responsabilità e della posizione di garanzia assunta dal datore di lavoro nei confronti dei terzi circa l’idoneità del personale che opera a contatto con il pubblico (art. 2043 Cod. Civ.) e anche nei confronti dei propri dipendenti (art. 2087 Cod. Civ.).

Infine il giudice prende in considerazione, in aggiunta, i precedenti disciplinari a carico del lavoratore imputato, legati ad episodi di insubordinazione o perdita di controllo.

L’autista comunque non demorde e impugna la pronuncia di secondo grado, proponendo ricorso alla Corte Suprema.

LA DECISIONE

Tuttavia mal gliene incoglie, perché gli Ermellini confermano le sentenze di merito. Vediamo perché.

Innanzitutto la Cassazione chiarisce che la condotta illecita extralavorativa può avere rilievo disciplinare, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta, ma altresì, come obbligo accessorio, a non porre in essere fuori dall’ambito lavorativo comportamenti che possano ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso.

Nel caso specifico – puntualizza la Cassazione – si può certamente far rientrare nella nozione legale di giusta causa di licenziamento una condotta extralavorativa che ha rilievo penale ed è sfociata in una sentenza irrevocabile di condanna, caratterizzata – sia pure nell’ambito di rapporti interpersonali o familiari – dal mancato rispetto della altrui dignità e da forme di violenza e sopraffazione fisica e psichica, oltretutto non sporadiche ma abituali. Queste circostanze sono ulteriormente amplificate dalle mansioni dell’imputato, incaricato di pubblico servizio e in costante contatto col pubblico, quindi con l’esigenza di tenere un rigoroso rispetto e un’adeguata capacità di controllo verso gli utenti.

Attenzione, dice ancora la Corte Suprema: questo non significa che ci sia un automatismo tra la condanna penale e l’integrazione della giusta causa di licenziamento, ovvero che la prima implichi necessariamente la seconda.

Ma la Corte Territoriale «ha saputo cogliere le implicazioni negative dei fatti penalmente illeciti sulla regolare esecuzione della prestazione, nel rispetto degli obblighi che fanno capo al lavoratore e sono posti per tutelare gli utenti del servizio pubblico».

In più la Corte territoriale ha correttamente valutato – con apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità – i precedenti disciplinari del ricorrente, che sono sintomatici di insubordinazione e facile perdita di controllo.

LE CONSEGUENZE

Il licenziamento è stato dunque confermato. Quello che più ci interessa è però che il ragionamento degli Ermellini è, come accennavamo agli inizi, teoricamente applicabile a tutti i dipendenti. Se il lavoratore è tenuto a fornire non solo la prestazione richiesta, ma – come obbligo accessorio – a non comportarsi in modo tale da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro, tali da pregiudicare il rapporto di fiducia tra di loro, ebbene che chi commette violenze o lesioni personali sia un guidatore di autobus o di camion o di altro veicolo fa chiaramente poca differenza.

La violenza domestica può in conclusione sfociare nella perdita del lavoro per giusta causa, ma ciò detto ci auguriamo che tali episodi si verifichino il più raramente possibile.

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