La questione di oggi attiene al fermo amministrativo di un veicolo industriale a cui era stata sottoposta un’azienda di trasporto per una violazione effettuata da un suo conducente. Un caso di responsabilità in solido a seguito della violazione da parte dell’autista – alla guida di un camion della ditta – dell’art.116, commi 15 e 17, del Codice della Strada.
IL FATTO
Nel caso specifico, la Polizia Stradale modenese aveva fermato l’autista e, dopo aver constatato che non era in regola con la CQC, lo aveva multato. In aggiunta aveva anche disposto in automatico per tre mesi il fermo amministrativo del veicolo, di proprietà dell’azienda di trasporto. Contro quest’ultimo provvedimento la ditta aveva allora fatto ricorso al giudice di pace di Modena, Nicoletta Maccaferri.
Nell’opporsi al verbale di contestazione l’azienda, rappresentata e difesa dall’avv. Roberto Iacovacci, adduceva la sua buona fede e chiedeva l’annullamento del fermo. Il conducente, infatti, aveva assicurato il suo datore di lavoro di essere in possesso della CQC UE, liberando così la ditta da ogni responsabilità. Da parte sua, la Prefettura di Modena non si costituiva e non faceva pervenire l’accertamento impugnato e gli altri atti relativi.
In sostanza, l’avvocato sosteneva che l’impresa di trasporto fa sempre affidamento su quello che l’autista riferisce, perché questi è un professionista che, in quanto tale, è tenuto a verificare la regolarità della sua patente, la di lei scadenza, le scadenze della CQC, ecc. In questo modo, il trasportatore esonera l’azienda dalle responsabilità per la sua condotta, per una sorta di ripartizione delle stesse a livello aziendale. L’impresa di trasporto, cioè, deve poter far riferimento a un professionista qualificato che è tenuto a controllare tutta la documentazione che lo riguarda e, in questo senso, è in perfetta buona fede e non deve pagare dazio per gli altrui errori.
LA DECISIONE
La giudice di pace di Modena ha innanzitutto provveduto a restituire il veicolo a stretto giro in un’udienza cautelare ad hoc, fissata una quindicina di giorni dopo la presentazione del ricorso.
In seguito, con la sentenza n.19/2024, pubblicata il 23/01/2024, ha dato ragione all’azienda di trasporto, accogliendo il ragionamento dell’avvocato difensore. «Il ricorso è fondato – si legge nella sentenza – perché sussiste l’esimente dello stato di buona fede» e anche per la carenza di prove da parte dell’Amministrazione emiliana che «non costituendosi, non ha adempiuto all’onere probatorio che le incombe».
«Dagli atti si evince – sottolinea ancora la giudice – che l’accertamento è avvenuto a carico del conducente, che peraltro ha ammesso la propria responsabilità. Ma l’autista aveva garantito all’azienda di essere in possesso di tutti i requisiti per condurre il camion in questione, addirittura firmando un documento in tal senso (esibito in aula – ndr). Dalla documentazione in atti non si ricava infatti una consapevole volontà di violare la norma contestata».
L’organo giudicante si rifà inoltre all’art. 3 della legge 689/81, che enuncia il principio dell’errore scusabile. Dice l’articolo: «Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da sua colpa».
LE CONSEGUENZE
In conclusione, la giudice ha deciso che, poiché la ditta di trasporti è giustificata dalla sua totale buona fede, il verbale di contestazione di fermo amministrativo del veicolo è illegittimo. Il ricorso della società è stato di conseguenza accolto.
Invece, sono stati respinti gli elementi di lamentela dell’autista, anche perché questi ha riconosciuto le proprie responsabilità. I provvedimenti a suo carico sono stati dunque confermati.
Alla fine, il vantaggio per la ditta di trasporto è sotto gli occhi di tutti: sono stati evitati 2 mesi e mezzo di fermo del camion ed è stato eliminato il rischio di non ottemperare alle scadenze e agli impegni presi, con relative penali da pagare e mancati introiti.