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Controllare un autista con il GPS del veicolo aziendale? Per la Corte EDU è legittimo, a certe condizioni

Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo il datore di lavoro può utilizzare i dati raccolti dal sistema di posizionamento satellitare del veicolo aziendale per licenziare il dipendente che lo usi a fini privati. In questi casi si andrebbe a giustificare anche un'intrusione nella sua privacy

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Con una sentenza pubblicata intorno a fine anno (13 dicembre 2022), la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) si è occupata di una questione delicata, ovvero il rapporto tra l’utilizzo del GPS da parte del datore di lavoro per sorvegliare il dipendente e il diritto alla privacy del dipendente stesso. In altri termini, la domanda è se i dati del sistema di geolocalizzazione possano essere utilizzati per giustificare un licenziamento. Come vedremo, per la Corte europea la risposta è positiva (a certe condizioni), quindi è legittimo il licenziamento di un dipendente che, scoperto attraverso i movimenti del GPS del mezzo aziendale, tentasse di eludere il proprio onere di rimborso spese.

IL FATTO

La vicenda non riguarda un’azienda di autotrasporto, ma il principio è ovviamente valido anche per questo settore. Per la precisione ha come protagonista un lavoratore portoghese assunto da un’azienda farmaceutica. La società gli assegna un mezzo aziendale, visto che il lavoro comporta spostamenti rilevanti. Inoltre gli consente di usare il veicolo per viaggi privati e al di fuori dell’orario di lavoro, chiedendogli però il rimborso per il carburante impiegato per uso personale. Successivamente la società installa un sistema di posizionamento globale via satellite (GPS) sulla flotta aziendale, informando i suoi dipendenti della cosa. Così, a seguito di un controllo dei dati raccolti dal GPS, l’azienda scopre alcune manomissioni dell’apparecchio e avvia un procedimento disciplinare nei confronti di un lavoratore, accusato di aver aumentato il numero di chilometri percorsi per motivi di lavoro al fine di diluire i chilometri effettuati nell’ambito di viaggi privati nei fine settimana o nei giorni festivi e non doverli così rimborsare. Al termine del procedimento disciplinare, la società ritiene che il lavoratore avesse manipolato il sistema e rimosso la scheda Gsm dal dispositivo e lo ha perciò licenziato.
Contro tale decisione, confermata dai tribunali portoghesi, si è appellato il lavoratore, ricorrendo alla Corte europea e sostenendo che il trattamento dei dati del GPS installato nella sua vettura aziendale e l’utilizzo dei dati stessi come base per il licenziamento avesse violato il suo diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale articolo recita che «ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata […] Non vi sarà alcuna interferenza da parte di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto, a meno che non sia conforme alla legge e sia necessaria in una società democratica nell’interesse della sicurezza nazionale o della pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la prevenzione di disordini o crimini, per la protezione della salute o della morale o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui […]».

LA DECISIONE

Nell’esaminare la questione la Corte ha cercato innanzitutto di individuare la ratio dell’art.8, che da un lato intende proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche e dall’altro garantire il rispetto effettivo della vita privata o familiare.
Ora, nel caso specifico, l’ingerenza nella vita privata del lavoratore è stata causata dal datore di lavoro e non dallo Stato, ma la norma appare comunque applicabile – dice la Corte – visto che l’informatore farmaceutico accusa l’azienda di essersi intromessa nella sua vita privata e di essere stato licenziato sulla base di informazioni raccolte mediante GPS. I due diritti in gioco sono quindi da un lato quello al rispetto alla vita privata del lavoratore, dall’altro quello del datore di lavoro di garantire il corretto funzionamento dell’azienda e in particolare di controllare le spese per l’uso dei suoi veicoli. La CEDU si è domandata cioè se i giudici nazionali, nel bilanciare questi due interessi, avessero tutelato a sufficienza il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata. Nel rispondere positivamente a questa domanda, la Corte ha osservato che i giudici nazionali avevano accertato che il lavoratore era a conoscenza del fatto che la società aveva installato un sistema GPS sul suo veicolo per monitorare i chilometri percorsi nel corso della sua attività professionale e durante i suoi spostamenti privati. Inoltre i dati di geolocalizzazione erano conosciuti solo dai responsabili dell’assegnazione e dell’approvazione delle visite e delle spese, un gruppo di persone estremamente ristretto.

LE CONSEGUENZE

La Corte ha perciò concluso che il bilanciamento tra il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata e il diritto del suo datore di lavoro a garantire il corretto funzionamento dell’azienda deciso dai tribunali nazionali fosse in sostanza corretto, come legittimo era il diritto conseguente della società di controllare le proprie spese. Questo vale vieppiù se emerge, come in questo caso, una condotta contraria ai princìpi di correttezza e di buona fede da parte del dipendente. La Corte esclude quindi che le autorità nazionali siano venute meno all’obbligo positivo di tutelare il diritto del lavoratore al rispetto della sua privacy, derivandone che non vi sia stata violazione dell’art. 8 della Convenzione e che quindi il licenziamento sia legittimo. Peraltro il fatto che la decisione sia avvenuta col minimo scarto (quattro voti contro tre) fa capire come si tratti di materia estremamente delicata che probabilmente va valutata caso per caso.

COSA AVVIENE IN ITALIA

Vale la pena di ricordare infine quale sia la tendenza giurisprudenziale in Italia sulla questione.
Premessa: la sorveglianza dei lavoratori sul posto di lavoro solitamente è assicurata nei singoli Stati da una legislazione specifica, mentre i tribunali nazionali si occupano di garantire che l’introduzione da parte del datore di lavoro di misure di sorveglianza che incidono sul diritto alla vita privata sia proporzionata e accompagnata da garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi. I fattori per stabilire se tali misure siano lecite o meno sono: il fatto che il lavoratore sia stato informato delle misure di sorveglianza e della loro introduzione; quale sia stata la portata della sorveglianza del datore di lavoro e il grado di intrusione nella vita privata del dipendente; se il datore di lavoro abbia giustificato l’uso della sorveglianza e la portata della stessa per motivi legittimi; se vi sia stata la possibilità di istituire un sistema di sorveglianza basato su mezzi e misure meno intrusivi; quali siano le conseguenze della sorveglianza per il dipendente che vi è stato sottoposto e le garanzie fornite al dipendente.

Limitandoci al GPS di un mezzo aziendale, le apparecchiature che utilizzano questo sistema possono essere strumenti essenziali o funzionali all’esecuzione del lavoro o imposti da specifiche norme (per esempio: sistemi per il trasporto di portavalori superiore a 1.500.000 euro). In questo caso, per la loro installazione, non è richiesto alcun accordo sindacale o alcuna autorizzazione da parte dell’Ispettorato territoriale del lavoro. Se invece il sistema di geolocalizzazione dei veicoli è utilizzato per rispondere a esigenze di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro, è necessario sia l’accordo sindacale (o in sua assenza l’autorizzazione dell’Ispettorato), sia la garanzia di riservatezza per i dipendenti, come richiesto più volte dal Garante della privacy. E questo vale per tutte le tipologie di veicoli, camion compresi.

In altre parole, il datore è libero di utilizzare i dati del GPS del veicolo aziendale senza dire nulla solo nel caso in cui il sistema sia necessario per lo svolgimento dell’attività del dipendente, altrimenti, dovrà fare riferimento a un accordo sindacale o a un’autorizzazione dell’ITL, sempre nel rispetto della privacy del lavoratore.

Appurato che il datore, in certe circostanze e a determinate condizioni, può controllare a distanza il lavoratore, poi può anche licenziarlo? E qui nei tribunali italiani prevale l’orientamento della CEDU. Perciò il controllo con il GPS del mezzo aziendale è legittimo nel momento in cui il dipendente viene informato dell’esistenza del dispositivo. E se anche il sistema finisce con l’avere qualche incidenza sulla vita privata del lavoratore, in ogni caso il datore non viola le regole quando informa i dipendenti della necessità di installare il dispositivo per controllare le spese aziendali e i chilometri percorsi (inclusi quelli che non riguardano strettamente l’attività lavorativa) e per verificare eventuali contrasti tra i dati rilevati e quelli comunicati così da giustificare su questa base provvedimenti disciplinari.

In conclusione, se i dati del GPS sul veicolo aziendale vengono considerati per la verifica dei chilometri percorsi, nell’ambito di un controllo delle spese aziendali e senza particolari ingerenze nella vita del dipendente, il datore può utilizzarli per giustificare un licenziamento quando in questo modo si dimostri un uso scorretto del mezzo aziendale o un’attività lavorativa ridotta rispetto a quella richiesta.

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