Una frase scritta su Facebook – poi cancellata – ma soprattutto il cambio di sindacato, dalla Cisal alla Cgil, non costituiscono di per sé motivo valido di licenziamento. Questa la recente decisione lo scorso febbraio del Tribunale di Palermo – Sezione Lavoro sul caso di un’autista cacciato da un’azienda salernitana che si occupa di consegna pacchi.
IL FATTO
Il conducente era stato assunto nel 2016 e ricopriva all’interno dell’impresa il ruolo di rappresentante sindacale per la Cisal. Nel 2022 si era poi iscritto alla Cgil. Insieme ad altri dipendenti aveva tra l’altro contestato l’imposizione di un orario di lavoro che superava, a suo dire, di gran lunga quello contrattualmente previsto. Di questo fatto, sempre nel 2022 si era anche lamentato sui social, contestando il datore di lavoro, per poi cancellare in un secondo tempo il suo commento. Dopo questi fatti e un primo provvedimento disciplinare, il trasportatore era stato licenziato e aveva perciò fatto ricorso in primo grado al Tribunale siciliano contro la perdita del lavoro, difeso dagli avvocati Luigia Scarbaci e Roberto D’Agostino.
LA DECISIONE
Il congedo era stato giustificato dall’azienda perché l’autista era stato ritenuto responsabile del fatto che «i suoi colleghi terminavano l’orario di lavoro prima, verso le 16, e si assentavano con più frequenza dalle loro attività».
Ma il giudice del lavoro, Elvira Majolino, come si legge nella sentenza, spiega che «gli autisti erano tenuti ad effettuare un certo numero di consegne indipendentemente dal tempo necessario per effettuarle, pena l’irrogazione di sanzioni disciplinari o l’adozione di penali di trattenute in busta paga».
E per quanto riguarda le motivazione del licenziamento, si legge nella decisione, «in realtà, anche a seguito dell’accordo sindacale con cui furono ridotte le ore di lavoro, il numero di consegne da effettuare quotidianamente e il numero dei dipendenti rimase invariato, con conseguente invarianza della quantità del lavoro richiesto ai dipendenti».
Non esiste perciò la prova di una connessione causa/effetto tra il comportamento dell’accusato e una presunta conseguenza penalizzante il lavoro dell’impresa, a cui far risalire il provvedimento di licenziamento. È invece dimostrato, con numerose testimonianze in aula di testimoni sentiti dal giudice, che dal suo passaggio ad altro sindacato il conducente sarebbe diventato bersaglio di iniziative per “inibire” la sua azione sindacale.
LE CONSEGUENZE
Il lamentarsi su Facebook di determinate accordi sull’orario di lavoro – commento peraltro, come accennato, successivamente rimosso – e il cambiare sindacato non costituiscono, di per sé, giuste cause di licenziamento, se non provocano comportamenti illegittimi dei lavoratori all’interno del business aziendale.
Secondo la giudice, insomma, il licenziamento sarebbe stato semplicemente discriminatorio. Scrive infatti la Majolino che «la contestazione disciplinare e il recesso datoriale fondato sulla stessa… trovano la loro origine nell’azione sindacale svolta dal ricorrente in difesa degli autisti rispetto alle condotte dell’azienda, consistenti, fra l’altro, nell’imposizione di un orario molto superiore a quello contrattualmente previsto».
Il Tribunale palermitano ha di conseguenza annullato il licenziamento stesso e imposto la reintegrazione del conducente, oltre al pagamento di un’indennità risarcitoria.