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Autovelox non omologato = multa nulla, c’è la prima sentenza post-Cassazione

La giudice di pace di Gaeta ha accolto per la prima volta le argomentazioni della Corte Suprema sulla nullità delle sanzioni ottenute con autovelox non omologati. Secondo la Corte di Cassazione, difatti, esiste tra autorizzazione e omologazione una differenza netta e sostanziale, per cui se non viene verificato che tutti i macchinari abbiano le stesse caratteristiche e operino allo stesso modo ci potrebbero essere differenze nella rilevazione della velocità

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La rivoluzionaria decisione della Corte di Cassazione che distingue tra autorizzazione e omologazione degli autovelox annullando così le multe per eccesso di velocità – di cui abbiamo parlato diffusamente, tra l’altro, in un podcast di K44 –-comincia a fare proseliti (anche se, come sappiamo, si trattava di una tendenza già presente da tempo nei tribunali).
Dopo il pronunciamento della Corte Suprema, infatti, la prima in ordine di tempo ad annullare la sanzione per questo tipo di infrazione – con condanna della controparte al pagamento delle spese di giudizio – è stata lo scorso 20 maggio la giudice di pace di Gaeta Cecilia Bonacci (sentenza n. 247/2024). Il conducente/ricorrente sanzionato per infrazione da eccesso di velocità era anche in questo caso difeso dall’avv. Roberto Iacovacci, mentre la controparte che aveva erogato l’ordinanza/ingiunzione era la Prefettura di Latina, peraltro non costituitasi in giudizio.

IL FATTO

La meccanica della vicenda è quella solita. Il ricorrente ha proposto opposizione contro la multa per infrazione all’art. 142, comma 8, CdS, e, vistasi respinta la richiesta dalla PA, è ricorso contro il provvedimento amministrativo della Prefettura, affermandone l’illegittimità per l’inesistenza dell’infrazione. In questo senso la giudice ha inizialmente affermato la propria competenza a decidere nel merito, accogliendo le argomentazioni di cui al ricorso, che «risultano documentalmente provate».
Secondo Bonacci, poi, «l’ordinanza/ingiunzione della Prefettura che ha respinto il ricorso è priva di una anche minima motivazione riguardante la concreta esistenza dei presupposti della violazione amministrativa». La giudice di pace campana richiama a sostegno la sentenza della Cassazione che afferma che l’interessato, dopo che si sia avvalso della facoltà di proporre il ricorso al Prefetto, «può ricorrere contro l’ordinanza ingiunzione e anche avverso il verbale precedente da cui è derivata l’ordinanza, davanti al GDP competente per territorio… sia per un’eventuale carenza di motivazione, sia per la sussistenza della violazione, sia per la fondatezza dei motivi allegati con il ricorso. Ne deriva che il giudice adito può entrare nel merito del verbale ed esaminare comunque le motivazioni».

LA DECISIONE

Analizzando quindi il verbale, alla base dell’ordinanza impugnata, la giudice conclude che «la violazione… non risulta dimostrata», ovvero che non ve ne è prova. La Prefettura non ha cioè fornito documentazione che attesti l’eccesso di velocità e, soprattutto, non c’è nemmeno un documento che provi «l‘avvenuta omologazione dello strumento utilizzato per la rilevazione».
E qui emerge appunto la considerazione che «le multe per eccesso di velocità rilevate dagli autovelox non sono valide se l’apparecchio non è stato omologato». È il principio stabilito – come sappiamo – dalla Corte di Cassazione con l’ormai famosa sentenza 10505/2024, verificando come alcuni autovelox sarebbero stati autorizzati dal ministero delle Infrastrutture, ma non sottoposti alle verifiche tecniche necessarie alla loro omologazione. «L’omologazione – sostiene in definitiva Bonacci – serve ad accertare che l’apparecchio rispetti tutti i requisiti tecnici previsti dalla normativa e ne consenta la riproduzione in serie. Al contrario, l’approvazione serve solo ad autorizzare il prototipo». Secondo la Corte di Cassazione, esiste tra le due cose una differenza netta e sostanziale, per cui se non viene verificato che tutti i macchinari abbiano le stesse caratteristiche e operino allo stesso modo ci potrebbero essere differenze nella rilevazione della velocità.

LE CONSEGUENZE

Insomma, la Corte di Cassazione si è espressa chiaramente in materia di autovelox, sottolineando la distinzione tra preventiva approvazione e omologazione dell’apparecchio. Da qui l’elemento costitutivo della pretesa sanzionatoria è la documentazione dell’infrazione, con un rilevamento che è legittimo solo se sono presenti «certificazioni di omologazione e conformità». In questo caso non c’è alcuna documentazione di questo tipo depositata dalla Pubblica Amministrazione, il che rende impossibile verificare il «corretto operato dell’amministrazione stessa, nonché l’esatta contestazione/notificazione della violazione». È infatti la Prefettura di Latina a essere gravata dell’onere probatorio di «dimostrare le ragioni di fatto e di diritto della sanzione… l’inosservanza delle disposizioni legislative e la sussistenza degli elementi determinanti la violazione contestata».

Stando così le cose, l’organo giudicante ha ritenuto il conducente nel giusto quando afferma che non è stata dimostrata la regolarità della procedura sanzionatoria.
Di conseguenza il ricorso è stato accolto, l’ordinanza annullata e la PA condannata a risarcire le spese di giudizio.

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