Ritorniamo sulla questione dell’approvazione/omologazione degli autovelox per vedere come sta procedendo la giurisprudenza in materia. Tutto prende il via, come sappiamo, dalla sentenza della Corte Suprema dell’aprile 2024 in cui aveva dichiarato nulle le infrazioni rilevate da autovelox approvati, ma non omologati. Il che aveva aperto la strada ad una marea di ricorsi, con i giudici a dare ragione ai multati.
A gennaio 2025 il Ministero dell’Interno, su consiglio dell’Avvocatura Generale dello Stato, aveva emesso la circolare 995, affermando «la sostanziale piena omogeneità ed identità tra le procedure tecnico-amministrative che sono alla base sia dell’omologazione che dell’approvazione». Secondo questa interpretazione omologazione e approvazione divergerebbero tra loro per un dato puramente formale. Da qui l’indicazione ai Prefetti di tutta Italia di rigettare i ricorsi e di impugnare le sentenze. Insomma resistere, resistere, resistere.
IL FATTO
Ma ovviamente i giudici, per il principio della separazione dei poteri, non possono essere influenzati da una circolare ministeriale e hanno continuato a seguire le indicazioni degli Ermellini.
Uno degli ultimi casi in ordine di tempo è quello di un automobilista felsineo che si è rivolto all’avvocato Federico Di Capua contro due multe per eccesso di velocità segnalate dall’apparecchio rilevatore su viale Togliatti, a Bologna. Nel primo caso la velocità registrata era stata di 68 km/h, convertiti a 63; nel secondo di 66 km/h, ridotti a 61. In entrambi i casi, a fronte del limite di 50, la sanzione ammontava a 235,45 euro. La rilevanza teorica del ricorso sulle casse comunali era dimostrata dal fatto che l’apparecchio, attivato il 17 giugno 2024, nei primi 46 giorni di servizio, ovvero fino al 1° agosto, aveva già sanzionato oltre 31 mila cittadini, quasi 700 al giorno, festivi inclusi.
LA DECISIONE
Nell’udienza del 20 febbraio scorso la giudice Simona Santini ha, come da copione, accolto il ricorso, annullando i due verbali elevati dalla Polizia locale di Bologna e condannando il Comune anche al pagamento delle spese legali, quantificate in 182 euro. Il legale del ricorrente aveva fatto leva sulla «mancata dimostrazione e/o carenza di omologazione del dispositivo», mentre il Comune si era opposto alla richiesta di annullamento «contestando gli assunti avversari e ribadendo la legittimità dell’operato della polizia locale».
La motivazione è sempre quella: la mancata omologazione dei dispositivi. «Questo giudice – recita la sentenza – aderisce al recente orientamento della Corte di Cassazione che, con sentenza 10505/24 nonché ordinanza 5054/24, ha ribadito come vi sia distinzione tra il procedimento di omologazione e quello di approvazione, che hanno del resto caratteristiche, natura e finalità diverse».
«È obbligo della PA – scrive ancora la giudice – di fornire, in caso di contestazione, prova del corretto funzionamento dell’autovelox mediante certificazione di omologazione e conformità non diversamente desumibili – dal momento che – l’art. 45 comma 6 del Codice della Strada non prevede alcuna equiparazione tra approvazione e omologazione». Poiché dunque in questo, come negli altri casi, il Comune non è stato in grado di esibire alcuna documentazione che attesti il requisito, le multe non possono che essere annullate.
LE CONSEGUENZE
Di fronte a una giurisprudenza ormai così consolidata, è stato suggerito da più parti di disattivare gli autovelox in attesa che, a livello nazionale, si decida di cambiare la normativa di riferimento. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha infatti aperto da un paio di mesi un tavolo tecnico con i rappresentanti del Ministero dell’Interno, dell’Anci e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, per definire le procedure di omologazione del prototipo, le tarature e le verifiche di funzionalità dei dispositivi, delle apparecchiature e dei mezzi tecnici.
«Spegnendo gli autovelox – ha spiegato in merito l’avvocato Di Capua – si eviterebbe di intasare i tribunali di ricorsi e ai sanzionati di sostenere le spese di giudizio. Senza contare che le spese delle condanne subite dai Comuni andranno poi spalmate su tutti i contribuenti, con un danno sociale evidente».
Una teoria che però è stata respinta non solo dal Governo, ma da molti Comuni, compreso quello di Bologna, dove la scelta è quella di ricorrere contro le sentenze di questo tipo, se necessario – e con queste premesse pare inevitabile – fino alla Cassazione.