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Autovelox: multa nulla senza prove di funzionamento

Il Tribunale di Piacenza ha ordinato l’annullamento di un’ordinanza/ingiunzione della Prefettura perché quest’ultima non aveva prodotto in aula alcuna documentazione che attestasse la verifica di funzionalità e la revisione periodica dell’apparecchiatura di controllo della velocità

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Riprendiamo in mano la questione autovelox – in questo caso si parla del Tutor – prendendo spunto da un intervento al riguardo del Ministero dell’Interno. Sappiamo ormai a memoria come il Codice della Strada all’art. 142 comma 6 prescriva che per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate.

La Corte di Cassazione nel maggio e luglio 2024 ha però ritenuto non equiparabili i termini «omologazione» e «approvazione», aprendo il fronte ad una marea di ricorsi contro le multe per eccesso di velocità rilevate da autovelox approvati, ma appunto non omologati. In un parere del 18 dicembre 2024 il Ministero dell’Interno ha quindi chiesto un’opinione all’Avvocatura Generale dello Stato sul tema e questa ha prospettato la sostanziale piena omogeneità e identità tra le procedure tecnico-amministrative che sono alla base sia dell’omologazione che dell’approvazione, divergendo queste esclusivamente per un dato meramente formale. Ha ritenuto cioè come risulti decisivo, in sede di giudizio, «rappresentare la piena omogeneità delle due procedure, sostanziando la prospettazione con elementi documentali che non sono stati esaminati dalla Corte in quanto non depositati nei relativi giudizi. Emerge pertanto come sia importante, fin dal giudizio di primo grado, procedere al tempestivo deposito del decreto di approvazione dello strumento specifico e soprattutto eventuali decreti di omologazione di strumenti».

Lasciando stare per il momento come questo parere possa di nuovo cambiare le carte in tavole – è stato istituito un tavolo tecnico al proposito – quello che ci interessa è che appare cristallino come in tribunale vadano prodotti, da parte delle Prefetture, tutti i documenti necessari a comprovare la perfetta funzionalità dell’apparecchio di controllo della velocità. Ed è appunto di questo che si occupa il verdetto del Tribunale di Piacenza del 14 gennaio 2025 che esaminiamo oggi.

IL FATTO

La vicenda è classica. Un’azienda di trasporto chiede l’annullamento di un’ordinanza/ingiunzione di pagamento e del precedente verbale per un’infrazione per eccesso di velocità rilevata dal Tutor. L’impresa, difesa dall’avv. Roberto Iacovacci, contesta la conformità della strumentazione e quindi l’irregolarità della multa. Il giudice di primo grado dà però torto all’azienda, che si appella così al Tribunale piacentino.

LA DECISIONE

’organo giudicante emiliano non sta tuttavia a questionare sulla differente interpretazione lessicale o materiale della omologazione/approvazione, ma in maniera molto concreta evidenzia che la Prefettura di Piacenza non ha provato in aula la funzionalità e verifica periodica dell’apparecchiatura «Sicve–Tutor» utilizzata dall’Amministrazione per rilevare la velocità del veicolo e contestarne l’infrazione.

«Già in primo grado – afferma il giudice – l’Amministrazione non aveva prodotto alcuna certificazione attestante la verifica di funzionalità e la revisione periodica dell’apparecchiatura in questione». Esiste infatti l’obbligo (ex decreto ministeriale n. 282 del 13.06.2017) da parte degli accertatori, quando ricevono in uso uno strumento nuovo o appena sottoposto alla taratura annuale, di verificarne la funzionalità con una precisa procedura. Queste verifiche di funzionalità, diverse da quelle di taratura, servono a valutare la capacità dell’autovelox di fornire indicazioni attendibili e devono essere effettuate dall’organo di polizia stradale utilizzatore, successivamente alla verifica di taratura. Si tratta, insomma, di attività ulteriori rispetto a quelle di manutenzione e/o revisione previste dal manuale d’uso, che consistono in «una verifica dell’integrità del dispositivo o del sistema e dei relativi sigilli apposti, nonché della loro capacità di attribuire correttamente le misure effettuate ai veicoli rilevati».

Poiché inoltre le verifiche di funzionalità sono eseguite sempre successivamente a quelle di taratura, «è opportuno che l’operatore che effettua le operazioni di verifica inserisca, nel relativo verbale, anche il riferimento all’ultimo certificato di taratura conseguito, indicandone il numero, la data di esecuzione ed il laboratorio che l’ha svolta».

Nel caso specifico questi documenti e queste indicazioni non sono mai stati sottoposti all’attenzione del Tribunale. Di conseguenza il giudice di appello ne deduce che “la mancata produzione in giudizio, da parte della Prefettura di Piacenza, di documenti attestanti la sottoposizione del dispositivo alla verifica di funzionalità, oltre che a revisioni periodiche (ossia di tutti quei documenti atti a dimostrare l’esatta funzionalità della strumentazione attraverso cui si è pervenuto all’accertamento della velocità contestata) rende l’accertamento dell’infrazione viziato, per cui, contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, il provvedimento opposto deve essere annullato”.

In linguaggio tecnico – di cui ci perdonerete – esiste un vizio di motivazione della sentenza impugnata (per error in iudicando) che comporta l’accoglimento della domanda di annullamento svolta in primo grado, risultando illegittimi tanto il verbale di contestazione quanto l’ordinanza-ingiunzione emanata su tale presupposto.

LE CONSEGUENZE

Sulla base di questo ragionamento il Tribunale di Piacenza ha quindi accolto l’appello dell’azienda di trasporto, annullando l’ordinanza-ingiunzione e il presupposto verbale e condannando l’Amministrazione piacentina a rimborsare alla parte appellante le spese di entrambi i gradi di giudizio (1.500 euro), liquidate a favore dell’avv. Iacovacci in quanto procuratore antistatario.

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