Purtroppo sì… sembra ormai chiaro che non si diventa obesi perché si ereditano dei geni poco simpatici, ma per colpa dello stile di vita e delle influenze ambientali. Perciò, ahimè, non ci sono più scuse, i chili in eccesso, problema che riguarda più del 30% della popolazione mondiale, sono il risultato di un’alimentazione eccessiva e squilibrata associata il più delle volte alla sedentarietà. Questa è la principale conclusione di uno studio condotto su gemelli monozigoti da un gruppo di ricercatori dell’Università Statale di Milano e pubblicato su Physiological Measurement. In definitiva non è il genoma a provocare l’obesità ma l’obesità stessa ad attivare gruppi di geni a loro volta implicati nella insorgenza di alcuni processi patologici. È l’epidemia del momento, come ripete e ammonisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha un impatto drammatico sulla salute pubblica globale e non accenna a rallentare ma addirittura continua a crescere in maniera esponenziale. Come ho avuto occasione di scrivere più volte sappiamo che la dieta influenza un ventaglio ampio e variegato di malattie croniche, non solo diabete, disturbi cardio-vascolari e diversi tipi di cancro, ma anche ad esempio malattie reumatiche come gotta, osteoporosi, artriti. Questo ultimo studio ribadisce come il “peso” della forma fisica dipenda esclusivamente dalle nostre abitudini scorrette e sbagliate, nonostante a livello scientifico restino ancora dei dubbi sull’importanza del background genetico. Una mano d’aiuto ce la darebbe la nostra cara dieta mediterranea, patrimonio mondiale dell’umanità Unesco, modello sano ed equilibrato per la prevenzione del sovrappeso. I dati però dicono che questo vanto del nostro Paese, sembra oggi messo in crisi soprattutto fra i più giovani da cibo spazzatura ipercalorico. Eppure, sempre in questi giorni i risultati di un’altra ricerca coordinata – non a caso? – da una ricercatrice di origine italiana hanno dimostrato che la pasta, immancabile nella dieta mediterranea, può e forse deve essere parte integrante di un regime alimentare sano, in quanto, tra tutti i carboidrati, non contribuisce all’aumento né del grasso corporeo e né, soprattutto, dell’indice glicemico, parametro in qualche modo associato all’insorgenza del diabete. I nutrizionisti ci dicono anche di cuocerla al dente per favorirne la digeribilità. L’importante è attenersi alle dosi quotidiane raccomandate (circa 80 grammi) e non “arricchire” questo alimento prezioso con condimenti e sughi grassi e pieni di calorie.
«la dieta influenza un ventaglio ampio e variegato di malattie croniche,
non solo diabete, disturbi cardio-vascolari e diversi tipi di cancro,
ma anche ad esempio malattie reumatiche come gotta, osteoporosi, artriti»
E poi? E poi di tanto in tanto la cosiddetta “dieta mima-digiuno”. Il dibattito sull’importanza della restrizione calorica “estrema” va avanti da qualche anno. Dopo alcuni studi sui topi che avevano dimostrato come brevi fasi di digiuno fossero in grado di ridurre l’infiammazione dei tessuti e stimolare il dimagrimento (perdita di massa grassa), alcuni ricercatori californiani hanno testato questa ipotesi su 19 volontari sani che hanno sperimentato sotto controllo medico una particolare dieta estremamente ipocalorica (in pratica lo schema prevedeva una riduzione delle calorie da un minimo di circa 35% a un massimo di circa 55% dell’introito abituale con corretta proporzione dei nutrienti necessari) una volta al mese per cinque giorni senza effetti collaterali e con effetti straordinari sul peso e sui fattori di rischio associati al diabete e alle malattie cardiovascolari. Secondo gli autori dello studio, nella maggior parte delle persone questa dieta mima-digiuno potrebbe essere seguita ogni 3-6 mesi, a seconda del peso, della circonferenza addominale (importante indicatore della sindrome metabolica) e dello stato di salute. Naturalmente sempre per brevi periodi e soprattutto sotto la supervisione di un medico attenendosi strettamente alle linee guida stabilite dai risultati degli studi clinici.
Buon viaggio!