Avete mai sentito parlare di aziende clonate? Nel mondo dell’autotrasporto è un fenomeno abbastanza frequente. E per questo abbiamo deciso di verificarne le dinamiche. I dettagli ve li spieghiamo a pagina 18. Qui vorrei riflettere su un aspetto rilevante della vicenda, che rischia di finire sotto traccia. All’origine della clonazione c’è una truffa orchestrata da due aziende: la prima, che sa come ricettare un carico, chiede alla seconda di procurarselo. Così è questa, fingendosi un produttore, a bussare alla porta di un trasportatore, a chiedergli prima un preventivo e quindi, a trattativa conclusa, i documenti di prassi (Durc, iscrizione all’Albo, ecc). Quindi, si reca da un vero produttore, gli si propone come trasportatore e, per convincerlo a fornirgli dei trasporti, gli prospetta una tariffa per i suoi servizi decisamente stracciata. Ben sotto all’euro al chilometro. Dopo la scontata accettazione, di fronte alla richiesta dei documenti, il truffatore invia quelli ricevuti dal vero trasportatore. Quindi, il giorno convenuto si presenta dal produttore con veicoli muniti di targhe false, carica la merce e sparisce. E i danni rimangono in capo all’ignaro trasportatore, anche perché difficilmente una compagnia assicurativa copre una truffa.
Ora, siccome noi parliamo alle aziende di autotrasporto, nel raccontare tale vicenda ci siamo premurati di spiegare come difendersene. Sulla base dell’evidenza che chi meglio capisce, più efficacemente previene. Qui, invece, vorrei richiamare l’attenzione su un altro dettaglio: il truffatore trova gioco facile perché fa leva su una tariffa bassa. Come si dice, di «quelle che non si possono rifiutare». Ma se il produttore utilizzasse il preventivo fuori mercato come campanello d’allarme, come il sintomo di qualcosa di anomalo da cui tenersi lontano, verrebbe meno all’origine il terreno su cui edificare la truffa. Invece non lo fa, in alcuni casi perché ha interesse a spendere poco, in altri perché si autogiustifica sostenendo che un’impresa può anche lavorare in perdita pur di conquistare un cliente, in altri ancora perché mette la testa sotto la sabbia e si racconta di non conoscere i reali costi del trasporto. Argomenti che suonano tanto più insopportabili se la stessa azienda, poi, in altri contesti sostiene di ispirare il rapporto con i propri fornitori all’efficienza, alla qualità e (ovviamente) alla sostenibilità.
Insopportabili per tante ragioni. Innanzi tutto, perché se qualcuno in Italia avesse interesse a sapere quanto spende un trasportatore per fornire i suoi servizi, gli sarebbe sufficiente entrare nel sito del ministero delle Infrastrutture e consultare quella tabella in cui sono riportati i «costi di riferimento». Ma soprattutto perché quando l’unica logica con cui si approccia una trattativa, una gara o un tender è legata alla quantificazione del prezzo, è evidente che si mira soltanto a spendere il meno possibile, a ottenere un massimo ribasso, con tutte le conseguenze che determina. In quanto almeno una parte delle aziende che riescono a ribassare così tanto le tariffe, in realtà risparmiano – come ci raccontano le cronache quotidiane – truffando l’erario, evadendo i contributi, acquistando gasolio privo di accise. Da qui la domanda: ma le aziende che pagano regolarmente i contributi e acquistano il gasolio alla pompa come fanno a competere con tanta illegalità diffusa? Un autotrasportatore ferrarese recentemente scomparso avrebbe risposto: «Fanno i salti mortali.» Vale a dire, sacrificano i propri margini operativi. Quindi, la propria capacità di effettuare investimenti in innovazione e gli stessi interventi di manutenzione dei veicoli. In più, non riescono a pagare in modo equo i propri autisti. Che così lavorano male, si espongono maggiormente al rischio di incidenti o, peggio, si guardano bene dal restare o dall’entrare in un settore così mal popolato.
La pagina è finita, ma il circolo così poco virtuoso innescato da una tariffa troppo bassa potrebbe continuare a lungo. Noi lo seguiremo su un altro numero e poi su un altro ancora, fino a quando qualcuno non avrà il coraggio di esprimere un gran rifiuto.