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EDITORIALE | Gli ultimi sono i primi… a chiudere

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Gli ultimi saranno i primi! Mah. Forse, in un qualche mondo lontano. Ma qui, ora, sul pianeta Terra le cose funzionano all’opposto. A maggior ragione quando, di fronte a una criticità di qualsiasi natura, gli ultimi finiscono se possibile per peggiorare la loro condizione e i primi per consolidarla. Non è demagogia, ma descrizione cruda di una realtà, in cui gli scenari avversi sono la regola e quelli sereni diventano rapidi momenti in cui si percepisce come prossima una ripresa, destinata poi a trasformarsi in ansia – un po’ come la domenica di Leopardi – per quanto di sconveniente riserva il domani. La guerra dopo la pandemia, l’inflazione dopo la penuria di componenti e materie prime, le elezioni anticipate dopo la crisi energetica. È un processo generale, valido in ogni contesto economico, alimentato dalle crisi globali come un gatto che beve nelle pozzanghere.
Lo dicono i numeri. Attualmente meno del 10% della popolazione possiede il 76% di tutta la ricchezza mondiale, con un trend inequivocabile: il divario tra i redditi medi del 10% più ricco e del 50% più povero è quasi raddoppiato negli ultimi anni.

Ma lo confermano pure i processi economici, segnati da una concentrazione imperante. Non serve ricordare quanto accade nel trasporto marittimo, dove otto compagnie, riunite in tre alleanze, nel 2021 hanno incamerato utili per oltre 150 miliardi, moltiplicati da un aumento dei noli tra Asia ed Europa di più del 500%.
Ma l’incremento della ricchezza era in corso da anni, sospinto da economie di scala (una portacontainer trasportava 1.500 teu fino a un paio di decenni fa e oggi arriva a 24.000), da ridotta imposizione fiscale (in Europa si ferma al 7%), ma soprattutto dallo sbarco a terra, dove le concentrazioni societarie acquisiscono terminal, aziende di movimentazione portuale, di trasporto ferroviario, di autotrasporto merci e di trasporto aereo. E ciò che dovrebbe far scattare l’allerta nelle piccole aziende di autotrasporto è che quando la merce movimentata dal grande gruppo attraversa i diversi anelli della catena, la fattura è unica e la pressione fiscale è la stessa di cui beneficia la società madre.
Con buona pace della libera concorrenza

In realtà l’autotrasporto ha vissuto una breve stagione felice. Il suo sabato del villaggio si è consumato quando sul mercato si è diffusa la sensazione, corroborata da numeri, che per la prima volta dopo anni voleva la domanda superare l’offerta. Di fatto, se dietro alla ridotta offerta c’erano mancanza di autisti e consegne allungate dei veicoli, dietro alla domanda c’era una montagna di denaro pubblico iniettata sul mercato in funzione anti-pandemica e poi arrivata a valle sotto forma di inflazione. E questa il trasportatore l’ha accusata molto. Perché a fine 2021, come la fanciulletta di Leopardi, è andato felice dal committente a chiedere e a ottenere un aumento delle tariffe. In qualche caso ha anche bissato. Poi si è fatto scrupolo perché si rende conto che non è possibile chiedere ogni settimana di ritoccare le tariffe. E in tale consapevolezza c’è una delle fragilità di chi fornisce servizi: ogni giorno si dota di tutto ciò che serve a far girare l’attività pagandolo a prezzo maggiorato, ma fatica poi a riversare tali costi a valle, al contrario di chi espone un prodotto con relativo costo su uno scaffale.
Normale, quindi, che proprio nel momento in cui la vivacità segnava il mercato, tante piccole aziende, quelle impossibilitate ad avere un rapporto diretto con il cliente, abbiano fatto fatica a tenere il passo. E quelle che lavorano al servizio di altri trasportatori stanno pure peggio, perché questi trovano nel subvettore la camera di compensazione dei maggiori costi di cui (anche loro) sono gravati. Di conseguenza tanti ultimi sono stati i primi a chiudere l’attività.

Vi consiglio una serie TV intitolata Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale), in cui si racconta di una società che, alle prese con difficoltà traversali, finisce, nell’inerzia consapevole dei più, per concedere spazio all’instaurazione di una dittatura teocratica. A quel punto le donne fertili sono assegnate a famiglie elette per assolvere a funzioni riproduttivie e quelle infertili condannate a mansioni degradanti. Non è importante la storia, ma i meccanismi che sottende: quando una società compie un passo indietro, quando il potere è concentrato nelle mani di pochi, le categorie chiamate a pagare il prezzo più alto sono inevitabilmente quelle più deboli, quelle che avevano appena iniziato a emanciparsi. Donne e autotrasporto, forse, sono accomunati anche in questo.

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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