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EDITORIALE | Diffidate delle tariffe leggerissime

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Ricordo che qualche anno fa, nel corso di un’intervista concessa all’indomani dell’approvazione dell’articolo 83 bis – quello celeberrimo sui costi minimi della sicurezza – Giuseppe Mele, allora responsabile Trasporti in Confindustria e oggi direttore generale di Confetra, sosteneva, per argomentare la sua contrarietà a quell’innovazione normativa che, in alcuni casi, come per esempio per conquistare un cliente, un’azienda può tenere volutamente le tariffe molto basse e anche lavorare in rimessa. Oggi capisco che aveva tristemente ragione. Spiego velocemente il perché.

Le tariffe per trasportare un container dalla Cina all’Europa sono state per lunghi anni estremamente ridotte, raggiungendo a malapena i 1.000-1.500 dollari. Ma quel contenimento serviva a conquistare non un singolo cliente, ma addirittura una trasformazione dell’economia, che muoveva a grandi passi verso la globalizzazione. Perché commerciare con ogni parte del mondo o delocalizzare produzioni altrove poteva essere conveniente soltanto con un trasporto leggerissimo.

Analogo discorso è valso per l’e-commerce. La tariffa di trasporto quando si effettua un acquisto on-line è così leggera che spesso risulta addirittura inclusa. Vale a dire, c’è ma non si vede. E in questo modo non ha conquistato un cliente, ma ha spostato intere fasce di consumatori dal negozio fisico a quello virtuale. Ma se alla comodità della consegna non si fosse aggiunta la convenienza del prezzo, il gioco avrebbe funzionato molto meno.

Ovviamente, quando il taglio della tariffa diventa tendenziale, nel senso che asseconda come nei casi ricordati, processi economici più ampi, bisogna trovare comunque un equilibrio di lungo periodo. O, detto più volgarmente, qualcuno che paghi. Nel trasporto, al riguardo, non ci sono molte strategie possibili: i costi in bilancio di un’azienda del settore sono quasi tutti incomprimibili e riferiti a dinamiche superiori. Esemplare, al riguardo, quello del gasolio. L’unica voce su cui agire di taglio, quella su cui ha fatto leva chi muoveva container o chi si fa carico delle attività di corriere in funzione del commercio elettronico, è il costo del lavoro. Spesso, andando a colpire principalmente chi è più invisibile e non si interfaccia con la clientela, ma rimane chiuso all’interno di una stiva o di magazzini, gestiti da cooperative intrecciate tra loro e che cambiano aspetto come un cubo di Rubik.

Ora però, più che guardare al passato, è urgente interpretare alcuni processi del presente, usando la stessa lente costruita con l’accoppiata al ribasso di tariffe di trasporto e costo del lavoro.

Mi riferisco a quanto sta avvenendo in alcuni paesi europei, come Lituania e Polonia, in cui – come ha spiegato il presidente dell’ETF Roberto Parrillo, intervenendo a un incontro organizzato dall’UETR e ospitato da Federtrasporti a Bologna lo scorso 23 maggio – si stanno concentrando decine di migliaia di autisti di camion non europei. Pensate che su un totale di 285 mila conducenti extra comunitari attualmente impiegati nel continente, quasi 220 mila si trovano nei due paesi ricordati. Quelli, cioè, che fino a ieri, proprio a colpi di basse tariffe, hanno letteralmente conquistato il trasporto internazionale e che adesso si stanno preparando a una nuova sfida. Perché mentre noi, come altri paesi europei, ci stracciamo quotidianamente le vesti per non riuscire a far fronte alla carenza di autisti, loro si stanno muovendo per colmare coercitivamente le nostre lacune. Il modo è presto detto: per un verso, organizzando centri formativi per autisti direttamente «a casa loro» in modo da farli arrivare con CQC al seguito e creare corsie preferenziali di accesso in Europa e, per un altro, tagliando ulteriormente il costo del lavoro, tramite un alleggerimento della contribuzione sociale a un miserrimo 2 per cento. E quali forme di sicurezza sociale si possano garantire con una tale percentuale risulta veramente difficile da ipotizzare.

Fatto sta che ingrossando l’esercito di autisti disponibili, questi paesi agiscono in maniera simile alla Cina che, decenni addietro, muoveva alla conquista di minerali strategici e terre rare: si accumula prima, per conquistare affari dopo. Perché quando tra una decina di anni l’autotrasporto si svuoterà di tutti quegli autisti ultra cinquantacinquenni, oggi quasi maggioranza nel settore in Italia e altrove, la domanda di trasporto europea sarà costretta a rivolgersi a chi avrà una poderosa dote di braccia a cui far girare i volanti e, ovviamente, di camion da caricare, magari a quel punto elettrici. E qui avremo l’unico vantaggio di questa triste storia: dopo anni di interminabili convegni, ci apparirà finalmente chiaro quale differenza passi tra la «sostenibilità ambientale» e la «sostenibilità sociale».

Daniele Di Ubaldo
Daniele Di Ubaldo
Direttore responsabile di Uomini e Trasporti

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