«Mancano gli autisti»: lo abbiamo ripetuto sino alla nausea. Vado oltre e provo a individuare un paio di possibili risposte giustificative di tale mancanza. La prima è anagrafica e fa i conti con l’invecchiamento crescente della popolazione. Di tutta la popolazione. Perché oggi, oltre agli autisti, mancano medici, infermieri e operatori di tante altre professioni, ma nel 2050 una persona su tre sarà in età da pensione. Ecco perché il problema andrebbe affrontato con pianificazioni di lungo periodo – seguendo l’esempio di quel paese cronicamente anziano che è il Giappone – se le agende della nostra politica non fossero ritmate esclusivamente da scadenze elettorali. Anche perché alcune specificità interne all’autotrasporto aggravano il deficit demografico in modo più urgente rispetto ad altri settori. Per capirci: se mancano i medici, qualcuno – come pensano di fare in Veneto e in Molise – può anche richiamare quelli pensionati per farli continuare a lavorare. Ma si potrebbe fare la stessa cosa con gli autisti di camion? Si potrebbe rimettere un ultrasettantenne alla guida di un veicolo pesante e fargli sopportare la vita che ne deriva?
La seconda decisiva risposta è molto banale: gli autisti mancano perché le retribuzioni sono troppo basse in relazione alle privazioni imposte dalla professione. E sono divenute basse perché, dopo il 2004, per assecondare le esigenze di competitività della vecchia Europa nella concorrenza globale con l’Asia, abbiamo aperto le porte dell’Unione europea ai paesi dell’Est e da lì abbiamo attinto occupazione a basso costo tramite istituti quali il distacco. Poi, dopo una quindicina di anni, è accaduto quanto era auspicabile: il tenore di vita dei paesi dell’Est si è innalzato e molti di quei lavoratori un tempo disposti a sacrifici a basso costo sono tornati a casa, lasciandosi alle spalle un settore con salari fin troppo scemati. Così, con i livelli attuali, di giovani disposti a condurre un’esistenza faticosa e in continua mobilità ce ne sono pochi.
Da qui la domanda: e se li pagassimo di più? La statunitense Walmart, la maggiore catena al mondo della grande distribuzione, si è posta il problema e ha compreso che per avere «buoni» autisti (e a busta paga ne ha 7.500) è necessario mettere mano al portafoglio e innalzare i salari fino a 87 mila dollari, oltre il doppio rispetto a quanto, in media, guadagna un conducente in quel paese.
Ho virgolettato «buoni» non a caso: ciò che oggi serve al settore non è solo colmare una lacuna occupazionale, ma valorizzare la qualità trovando un modo per renderla apprezzabile e quindi profittevole. Esattamente ciò rende interessante il progetto della Fiap (ne parliamo a p. 20) di ripensare in chiave collaborativa le relazioni tra domanda e offerta di trasporto, così da sfuggire a quella logica imperante che vuole la competizione basata soltanto sul prezzo. E che ci sia bisogno di recuperare margini, senza così dover tagliare “costi a tutti costi” (compresi quelli di chi guida), lo insegna, paradossalmente, anche la cronaca del bus carico di studenti dirottato e sequestrato a metà marzo a Milano da un autista dal fosco passato. Perché dopo quella vicenda è apparso evidente come sia impossibile affidare a chiunque un veicolo pesante ad alto impatto sulla sicurezza e qualcuno – come il vicepresidente di Conftrasporto, Paolo Uggè – ha chiesto «più rigorose verifiche sui conducenti dei mezzi dal punto di vista giudiziario e psico-attitudinale e modalità più efficaci di monitoraggio dei veicoli impegnati in trasporti sensibili e delicati (di scolaresche nel trasporto persone, di merci pericolose e carichi preziosi)». Come a dire che alla guida di questi veicoli ci devono essere persone serie, preparate e – logica vorrebbe – anche ben pagate. Esattamente il contrario di quanto indica il trend emergente nel trasporto europeo, che davanti al ritorno a casa degli autisti dell’Est ha trovato nelle Filippine un nuovo bacino di disperati da “importare”. Le modalità sono note: un’agenzia di lavoro di Manila contatta i candidati autisti, li fa arrivare in un paese dell’Est Europa per farli assumere da un’azienda locale, che poi li distacca a un’azienda dell’Ovest con in tasca un contratto da 428 euro al mese. A queste condizioni gli si potrà mai chiedere di condurre un’autocisterna carica di GPL?