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Simona Ionita, dal negozio al camion: «Ho stravolto la mia vita dopo il Covid»

Simona Ionita ha 43 anni, è rumena ma vive in Italia da ormai vent’anni. Dopo una vita in negozio, il Covid l’ha costretta a prendere una decisione: rimanere in cassa integrazione, o correre il rischio di inseguire i propri sogni e mettere a frutto quelle patenti prese tanti anni prima. Neanche a dirlo, Simona ha trovato finalmente il coraggio di rischiare

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La resilienza è quella capacità di resistere e far fronte anche a situazioni avverse che ci mettono alla prova e ci costringono a trarre da un momento di difficoltà un’opportunità. Se questa è la definizione del termine, un esempio concreto è la storia di Simona Ionita. 43 anni e originaria della Romania, Simona vive a Mestre ormai da vent’anni. Arriva nel 2004 con l’intenzione di non fermarsi per troppo tempo. Poi come sempre, la vita ci si mette di mezzo e stravolge i piani.
«L’idea – ci racconta dalla cabina del suo camion – era quella di raggiungere mio fratello che già abitava in Italia, lavorare per qualche anno qui così da potermi permettere una macchina e poi fare rientro a casa. Alla fine, non me ne sono più andata e l’Italia è diventata la mia seconda casa». Simona oggi è un’autista, ma per i suoi primi diciassette anni in Italia ha fatto tutt’altro. Lavorava come commessa in un negozio di scarpe e accessori vicino a Venezia. A stravolgere i piani e offrirle l’occasione di realizzare i suoi sogni è stato il Covid. Da una situazione di difficoltà ecco la sua opportunità: cambiare vita e mettere finalmente a frutto quelle patenti conquistate parecchi anni prima.

Simona, come è iniziata esattamente la tua avventura in cabina?

Nel 2020, a causa del Covid e dei lockdown, il negozio per il quale lavoravo ha avuto molte difficoltà e mi sono ritrovata in cassa integrazione. A quel punto mi sono detta «ho le patenti, ci provo».

Perché avevi le patenti del camion se non avevi mai fatto questo lavoro prima d’ora?

Appena arrivata in Italia ho iniziato a lavorare per un negozio di ortofrutta. Il proprietario era anziano e aveva bisogno di qualcuno che gli potesse dare una mano anche con il camion, così mi pagò la patente C. Una volta fatta quella, ho voluto prendere anche le altre patenti perché ho sempre amato guidare, fin da piccola quando sedevo accanto a mio padre che guidava i trattori nei campi. Una volta conseguite le patenti, però, non me la sono sentita di affrontare un cambiamento così grande.

Per motivi legati alla professione di autista o per altro?

È stata la paura del cambiamento a bloccarmi. Ho impiegato qualche anno a conseguire tutte le patenti e nel frattempo avevo iniziato a lavorare in un altro negozio nel quale mi trovavo molto bene, avevo un buon rapporto con i colleghi e mi dispiaceva andarmene. Così ho lasciato perdere l’idea di fare l’autista. 

Il Covid però ha stravolto i tuoi piani…

Il negozio lavorava principalmente con una clientela straniera e quando i turisti sono venuti meno ci hanno messo in cassa integrazione. A quel punto non avevo più scuse, avevo un piano B ed era arrivato il momento di metterlo in pratica.

Hai trovato facilmente lavoro come autista?

Non esattamente, molte aziende erano diffidenti. Ero una donna e senza esperienza, ci ho messo un po’ a trovare chi mi volesse dare fiducia, ma alla fine ce l’ho fatta.

A distanza di tre anni, rifaresti la tua scelta?

Certo che sì! Anzi, potessi tornare indietro la farei prima. Mi piace davvero questo mestiere. Ho la possibilità di viaggiare, di vedere posti nuovi e incontrare sempre persone diverse. È quello che avevo sempre sognato, mi era solo mancato il coraggio.

È stato un cambio di vita radicale, immagino non sia stato facile.

Quando c’è passione si può far tutto. Tanti mi chiedono il perché di questa scelta, la risposta è semplicemente che questa vita, questo mestiere, mi piacciono. È ovvio che se una persona desidera uscire di casa la mattina, fare orari di lavoro standard e rientrare la sera questo lavoro non è adatto. È una questione di scelte, e io ho scelto questo per me, consapevole di quale sarebbe stata la mia nuova vita. Oggi sento che il mio posto è al volante, scherzando dico sempre che non sono in grado di stare sul lato del passeggero, neanche quando sono in macchina. A questa vita, anche se non è facile, ci si abitua, tanto che quando non sono in cabina ne sento la mancanza.

Oggi che cosa trasporti e che tratte fai?

Guido un bilico DAF 530 e trasporto un po’ di tutto: pellet, biscotti, rotoli di ferro, bicchieri di plastica, solo per fare qualche esempio. Viaggio soprattutto all’estero, tra Austria, Repubblica Ceca, Francia e Germania, ma mi capita di fare anche viaggi fino al Sud Italia. Parto il lunedì e rientro il venerdì. In questo momento sto rientrando dalla Repubblica Ceca.

Da autista, la situazione all’estero è migliore o peggiore rispetto a quella in Italia?

I problemi che abbiamo in Italia, per esempio le aree di sosta inadeguate e con pochi posteggi o le interminabili ore di attesa nei piazzali, ci sono anche all’estero. Forse in Francia va un po’ meglio rispetto agli altri Paesi, ma non mi sento di dire che la situazione sia ottimale. Però i lati negativi ci sono in tutti i mestieri, no? Anche se ad essere onesta penso che l’essere donna mi abbia avvantaggiata in certe situazioni, come se ci fosse una sorta di maggiore attenzione e gentilezza nei miei confronti. Certo non sempre, c’è chi non fa eccezioni, ma ammetto che mi è capitato per esempio di arrivare in aziende dove ho avuto l’opportunità di usare il bagno del personale, visto che non c’erano bagni per autiste donne.

Eppure, qualcuno fa ancora fatica ad accettare le donne in cabina…

Infatti, come ho detto, all’inizio non è stato facile trovare qualcuno che volesse darmi fiducia. Però oggi lavoro in un’azienda nella quale nonostante sia l’unica donna i colleghi mi trattano benissimo, sono sempre stati disponibili a darmi una mano, soprattutto all’inizio. Anche se in seguito mi hanno rivelato che appena arrivata avevano scommesso che non sarei durata più di due settimane. Invece eccomi qua, dopo tre anni.

Pensi che in futuro qualcosa cambierà?

Devo essere onesta, penso di no. Non serve farsi illusioni, anche se come si dice la speranza è l’ultima a morire. Però sarebbe bello se si iniziasse a dare più fiducia a noi donne, perché il rischio è di rendersi conto troppo tardi di aver commesso un errore a non farlo. Per esempio, quando cercavo lavoro come autista mi rivolsi a un’azienda la quale promise di richiamarmi. Non lo fecero, ma una volta assunta dalla realtà per cui lavoro oggi mi ritrovai a dover andare in quella stessa azienda e mi riconobbero. Da quel giorno so che il titolare chiede spesso al mio capo se ancora lavoro per lui, penso si sia pentito di non avermi mai richiamata, ma ormai è tardi.

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