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Lorena Gemma Della Giovanna, ventidue anni in cantiere

52 anni, di cui 22 passati in cabina, tra un cantiere e l’altro. È la storia di Lorena Gemma Della Giovanna, per tutti Lory, autista originaria di Primaluna, in provincia di Lecco. Una donna di poche parole e molta esperienza, che non ama mettersi in mostra ma per la prima volta si apre raccontandoci la storia perché «è bello vedere riconosciuto il lavoro delle donne»

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«Ho iniziato per caso, nessuno nella mia famiglia aveva a che fare con l’autotrasporto. È stata un’opportunità che mi è stata proposta e ho scelto di provare». Era il 2002 quando Lorena Gemma Della Giovanna, ma conosciuta da tutti semplicemente come Lory, classe 1972 e originaria di Primaluna nella Valvassina, nel cuore del lago di Como, riceveva la proposta che le avrebbe in qualche modo cambiato la vita. Lorena non ama raccontarsi, «sono una persona di poche pretese» ci dice, «faccio il mio lavoro e sono contenta così, non amo dare troppo nell’occhio, ma questa volta mi sono detta perché no, in fondo non c’è niente di male nel raccontare la propria storia, magari può anche di ispirazione per qualcuno».

Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 2002, ripartiamo da lì. Come hai deciso di prendere le patenti?
Lavoravo negli uffici di un’impresa edile quando il mio datore di lavoro, che aveva bisogno di qualcuno che potesse dare una mano in cantiere, mi propose di prendere le patenti. Ad essere onesta non amavo passare le mie giornate dietro la scrivania, ho sempre preferito l’aria aperta, così ho visto questa proposta come un’opportunità e ho deciso di accettare.

E come è andata?
È una scelta della quale non mi sono pentita. Per diversi anni ho continuato a lavorare come dipendente, portando con il camion materiale edile da un cantiere all’altro. Nel 2013, poi, lo stesso datore di lavoro mi propose di rilevare il ramo d’azienda dedicato all’autotrasporto e ancora una volta decisi di accettare.

Quindi oggi hai la tua azienda di autotrasporto?
Sì, ho un vecchio camion di proprietà, un cava cantiere 4 assi MAN del 2001, e non ho dipendenti, sono da sola. Non avevo mai pensato prima di quella occasione alla possibilità di mettermi in proprio e tornassi indietro devo ammettere che la tranquillità di essere dipendenti era impagabile. Fortunatamente, quando il mio ex datore di lavoro mi propose di rilevare il ramo d’azienda mi diede anche una grossa mano, mi lasciò i suoi clienti e mi diede le direttive giuste per potercela fare.

Tornassi indietro, seguiresti la stessa strada?
Essere autonomi comporta degli evidenti svantaggi: se una giornata è morta non ci sono introiti. Io però sono stata fortunata: da ormai tre anni lavoro prevalentemente per una ditta in prestazione di manodopera. Questo mi garantisce la continuità del lavoro, oltre alla possibilità di utilizzare i loro mezzi.

Il tuo è un settore molto particolare, il cava-cantiere. Non ci sono molte donne in questo ambito. Perché, dal tuo punto di vista?
È vero, oggi rispetto a vent’anni fa ci sono molte più donne che fanno linea, ma in questo ambito siamo pochissime. Personalmente conosco non più di un paio di colleghe nella mia zona. Eppure, non penso sia più difficile, anzi. Parlo della mia esperienza: io vado sotto scavo, che è sempre lo stesso per qualche mese o anche di più, e faccio la spola. Questo mi consente di avere degli orari fissi per il carico e lo scarico, e soprattutto di rientrare sempre la sera a casa senza imprevisti. Per esempio, sono tre anni che carico in una cava sopra Lecco e scarico a 9 km di distanza in stabilimento. È un lavoro molto più regolare.

Rischia forse di diventare noioso?
A me piace fare questo. Come ho detto, non ho grandi pretese. Mi basta poter fare il mio lavoro e rientrare a casa la sera soddisfatta. All’epoca, quando feci io le patenti, si conseguivano automaticamente insieme la D e la C, quindi anche quella per i pullman. Ecco quello è un lavoro che io non potrei sopportare, non avrei la pazienza necessaria per avere a che fare tutti i giorni con il pubblico.

Di esperienza sulle spalle ne hai parecchia, visto che sei in cabina da oltre vent’anni. Cosa hai visto cambiare in tutto questo tempo?
Molte cose, e a voler essere onesti, non sempre in meglio. Prendiamo per esempio il discorso dei tempi di guida: le nuove regole dovrebbero garantirci maggiore sicurezza, ma in realtà non è così. Immagina di essere al volante, di essere quasi arrivata a destinazione, ma di essere obbligata a fermarti dove capita, magari in un’area di sosta non sicura o dove non ci sono posteggi. Non mi sembra sia garantita la nostra sicurezza in questo modo. Per non parlare dell’immagine sbagliata e stereotipata che ci è stata attribuita negli anni. Qualunque cosa succeda oggi, è colpa dei camionisti. La verità è che quando si guida un mezzo pesante servono mille occhi e occorre prestare molta più attenzione rispetto agli automobilisti che non sono, il più delle volte, consapevoli di cosa significhi guidare un veicolo industriale.

È quest’immagine sbagliata ad allontanare nuove leve?
Non solo. Per fare questo mestiere servono innanzi tutto due cose: passione e curiosità. Chi ha entrambi gli ingredienti e vorrebbe provare, però, deve fare un grosso investimento, e non sempre è possibile. È un costo diventato proibitivo, sia per gli uomini che per le donne, indipendentemente.

A fronte di tanti “contro”, però, ci sono anche tanti “pro”. Quale è il “pro” che ti ha convinta ad andare avanti?
Questo lavoro offre delle opportunità che non molti altri mestieri danno, come per esempio la possibilità di stare sempre all’aria aperta, o di mettersi sempre alla prova anche con nuove sfide, dimostrando a se stessi che ce la si può fare. Io, per esempio, una volta, a inizio carriera, sbagliai una manovra e mi sentii dire da un ragazzo che dovevo starmene a casa. Ho preferito prenderla sul ridere e dimostrare che si sbagliava, poi infatti abbiamo lavorato insieme per diverso tempo in un cantiere. 

Una delle ultime sfide nelle quali ti sei lanciata è il Sabo Rosa. Ti sei infatti candidata per l’edizione 2024. Come è andata?
In realtà è stata mia sorella, d’accordo con il mio compagno, a candidarmi. Un giorno è arrivata e mi ha detto “ho fatto una cosa, però non ti arrabbiare”. Loro sono i miei primi supporter.

Perché ti saresti dovuta arrabbiare?
Perché a me non piace mettermi in mostra. Però pensandoci mi sono detta “ma perché no, non mi costa nulla”. In fondo, è bello vedere riconosciuto il lavoro delle donne.

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