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Intervista a Roberta Gili, titolare della Italia Cargo. Il femminile che pensa in grande

Grandi sfide richiedono grandi capacità. Quelle che in genere si reputano troppo gravose per le donne. La carriera di Roberta Gili è simile a un macigno con cui polverizzare questo stereotipo. Pensate che, in pochi anni, ha “accompagnato” in Cina 25 opere di Leonardo, ha spostato in ambienti e condizioni impossibili, in Messico, una pressa da 107 tonnellate, è stata ammessa tra i pochi vettori accreditati per operare a Cuba. Uomini all’ascolto: «Ma voi, sareste riuscire a fare altrettanto?»

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Grandi sfide per abbattere stereotipi. Prendersi cura di ogni piccolissimo particolare per portare le opere del grande Leonardo Da Vinci fino a Pechino, imballare in una cassa enorme una pressa da 107 tonnellate da consegnare in Messico, assicurare tutta la supply chain a -20° a preziosissimi farmaci salvavita e battersi per sostenere le imprese in rosa nel trasporto di merci. «Chi lo ha detto che le donne non possono fare le camioniste? E allora le hostess? E le astronaute? Non stanno lontano da casa migliaia di chilometri? Perché per loro nessuno dice niente?». La passione di Roberta Gili mi raggiunge anche attraverso il collegamento skype che, in tempi di coronavirus, ci assicura il dialogo. Imprenditrice per nascita, una vita nel trasporto e nelle spedizioni internazionali, da 10 anni al timone della Italia Cargo, una realtà iperspecializzata alle porte di Roma, prima (e unica, finora) donna a guidare il Freight Leaders Council, l’associazione trasversale per lo sviluppo della logistica in Italia. Il suo sorriso è di quelli che trasmettono fiducia immediata, tipico delle persone abituate a mantenere la calma anche nelle imprese più difficili. È così anche quando mi confessa: «Sto lavorando con la Camera di commercio di Roma per inserire l’autotrasporto nell’imprenditoria femminile».

Come è iniziata la tua esperienza nel trasporto?
In verità non ho scelto di fare questo mestiere, ho imparato tutto nell’azienda di famiglia. Fin dall’adolescenza aiutavo a preparare le spedizioni, in particolare quelle ferroviarie che all’epoca erano molto frequenti. In quegli anni non si sceglieva la professione. Appena finite le scuole ho iniziato a lavorare e in seguito ho completato le mie specializzazioni, prima la formazione umanistica e lo studio delle lingue, poi la laurea in economia e gestione aziendale. Sono cresciuta nell’azienda di famiglia. Dieci anni fa mi sono staccata dal gruppo originario e ho rilevato una realtà già esistente sul mercato: ho iniziato così a operare con Italia Cargo, un’impresa tutta mia che è decollata anche grazie alla rete di relazioni internazionali che ho mantenuto negli anni.

In che modo il respiro internazionale ha caratterizzato la tua attività?
Sono cresciuta sempre a contatto con la rete estera dell’azienda di famiglia. Ho studiato le lingue per potermene occupare. Ho curato personalmente le relazioni con i corrispondenti. Questo lavoro è fatto di due elementi fondamentali: la competenza tecnica e le relazioni. Quando affidi la tua merce a uno spedizioniere è importantissimo sapere in che mani va a finire. Conoscere la controparte è fondamentale per dare un buon servizio. Nel corso degli anni ho avuto modo di incontrare personalmente i partner commerciali. Con alcuni di loro è nato un rapporto di amicizia che è andato anche oltre quello di lavoro. Una cosa molto bella che mi ha arricchito, aperto la mente e dato molto in termini di affetto e di amicizia.

TRATTI E RITRATTI

Un altro motivo di orgoglio, dato più che altro dal peso di un marchio come quello Maserati, in cui è riprodotto il tridente della statua del Nettuno da il nome all’omonima piazza del centro di Bologna. In questa cassa vengono trasportati gli airbag del “regale” costruttore.

Cuba non è stato un mercato aperto per tanti anni e anche adesso soggiace a specifiche regole. Sono pochi i vettori accreditati a operare in quest’isola. E l’azienda di Roberta è tra questi.

Una grande soddisfazione, una missione di trasporto veramente speciale: trasportare da Venezia a Pechino 25 opere di Leonardo Da Vinci e della sua scuola, tra cui la famosissima Tavola Lucana e lo studio per la Battaglia di Anghiari.

Grandi carichi richiedono soluzioni geniali. Questo è lo spostamento di una pressa di 107 ton da trasferire dal luogo di produzione al porto d’imbarco e da qui fino nel Querétaro in Messico. Un oggettino non proprio facile da movimentare… Ma le donne a volte si esaltano proprio nelle imprese più difficili.

In quali parti del mondo operate?
Ho agenti in 60 paesi che con le varie branches arrivano a 80. Ultimamente ho aggiunto Cuba. Si tratta di un paese in cui sono ammessi pochi operatori. Qui c’è il beneficio della prima mossa, di trovarsi già là quando il mercato si aprirà completamente. Questa attività ci consentirà in futuro, quando i miei figli prenderanno le redini dell’azienda, di beneficiare di queste relazioni.

Stai preparando il ricambio generazionale?
(Ride). Ho lasciato liberi i miei figli di scegliere il loro futuro. Infatti, pur avendo sentito parlare di trasporti e di logistica da quando erano piccoli, hanno fatto altre esperienze. Ora sono ragazzi di 27 e 25 anni e hanno deciso di lavorare in azienda con me, rilevando anche una piccola quota. Martina si occupa di amministrazione: è il mio occhio vigile su finanza e contabilità, mentre Matteo segue l’operativo coordinando le spedizioni e la logistica. Entrambi sono molto appassionati, ma professionali e attenti. Per me è una grande soddisfazione, loro saranno la terza generazione: beneficeranno di un patrimonio decennale di competenze.

Competenze che oggi impiegate in settori molto particolari…
Sì, siamo specializzati in alcuni settori che richiedono capacità specifiche e una maggiore professionalità come il trasporto di opere d’arte, il project cargo e il farmaceutico. Il settore dell’arte, che coniuga anche una mia grande passione, richiede tecniche speciali e molta esperienza. Occorre garantire il massimo livello di sicurezza, seguire l’opera in tutto il suo percorso curando anche gli aspetti burocratici come i passaggi doganali, rispettando le norme, ma anche i tempi che a volte sono strettissimi. Generalmente siamo sponsor tecnici della Biennale di Venezia e lo scorso anno abbiamo trasportato da Venezia a Pechino 25 opere di Leonardo Da Vinci e della sua scuola, tra cui la famosissima Tavola Lucana e lo studio per la Battaglia di Anghiari. Nel project cargo affrontiamo progetti speciali. Ultimamente abbiamo lavorato sulla spedizione di una pressa di 107 tonnellate con dimensioni di 6,6 per 4,8 per 3,6 metri. Un carico fuori misura con un peso eccezionale, lo stesso di un Boeing 747 per intenderci. Abbiamo dovuto studiare l’itinerario dal luogo di produzione fino al porto d’imbarco, per 390 km attraverso l’Italia, poi da qui fino nel Querétaro in Messico dove serviva all’industria dell’automotive locale.

Affrontate queste grandi sfide anche nel farmaceutico?
Trasportiamo materiali molto delicati garantendo una catena del freddo a -20°. Siamo iperspecializzati, una caratteristica su cui ho puntato per vincere la concorrenza. Noi non possiamo lavorare su grandi volumi, per questi ci sono le multinazionali. Loro possono permettersi di presidiare il mercato e guadagnare altrove.

Qual è il tuo sguardo su questo mestiere dopo 35 anni?
Mi sono molto appassionata. A volte guardo un imballaggio, lo trovo bello, lo fotografo e lo condivido. Mi rendo conto che le persone lo trovano bizzarro, ma oramai è diventato parte di me. I progetti speciali mi entusiasmano.

Sei stata anche la prima donna presidente del Freight Leaders Council. Come è andata?
Il periodo di presidenza del Freight Leaders Council (2006-2012, ndr) è stato per me un grande arricchimento. Una bellissima esperienza che mi ha permesso di entrare in contatto con persone di grande spessore e capacità professionale. Il FLC era un club esclusivo e molto selettivo che raccoglieva le eccellenze della logistica italiana, non solo imprenditori e manager ma anche grandi aziende tra cui Fs, Alitalia, Eni, Iveco, Fiat, P&G, Ferrero, i grandi armatori. Quando sono stata eletta presidente mi ha commosso il fatto di aver ricevuto la fiducia di questo mondo così importante: mi ha dato una grande spinta a lavorare per il settore.

Quante donne c’erano nel FLC?
Ero l’unica, in seguito io ne ho fatto entrare altre. Forse sono stata scelta in quanto giovane donna in grado di rilanciare l’associazione. È stata comunque una bellissima esperienza. Il FLC ha sempre espresso una visione globale, un pensatoio di eccellenza sulla logistica a beneficio di tutti gli attori. Nei miei anni di presidenza ho abbinato l’arte all’aspetto tecnico. La prima assemblea plenaria è stata organizzata all’interporto di Padova con la cena di gala alla cappella degli Scrovegni.

Nel settore del trasporto la presenza femminile pesa in percentuale per il 21,9%. In Italia Cargo arriva al 50%. Qui Roberta Gili ritratta insieme ad alcune sue valide collaboratrici.

L’anno successivo siamo andati a Firenze a vedere la pala di Giotto e l’officina di restauro dell’Opificio delle pietre dure.
Devo dire che in quegli anni avevamo anche uno scenario politico più sensibile alle nostre istanze. Uno dei progetti più belli che ho realizzato durante il periodo di presidenza del FLC è stato quello di portare in Italia il programma Lean&Green che promuoveva la logistica sostenibile e la riduzione del Co2. Per questa iniziativa abbiamo ricevuto un premio dalla presidenza della Repubblica e un riconoscimento da parte della Consulta dell’autotrasporto.

Oggi, nel settore manca personale. Il mestiere sembra non interessare più i giovani. Cosa bisogna fare secondo te per renderlo più attraente?
Bisogna lavorare sulla comunicazione: spiegarlo e farlo conoscere perché molti non hanno idea di cosa significhi questo mondo. Quando dico che mi occupo di spedizioni internazionali, di logistica, la gente pensa che io guidi il camion. Sebbene abbiamo l’iscrizione all’Albo degli autotrasportatori, è riduttivo! C’è molto di più in questo settore, abbiamo molte sfaccettature. È un lavoro che può entusiasmare.

Anche le donne?
Anche qui c’è un tema di divulgazione. Io sto sostenendo un’iniziativa con il Comitato per la Promozione dell’Imprenditorialità Femminile della Camera di commercio di Roma per incentivare le donne a diventare trasportatrici. L’idea è di inserire questo settore tra quelli sostenuti dalla legge per l’imprenditoria femminile. È un’attività che consente alle donne di emanciparsi, di raggiungere l’autonomia economica. Ha quindi una grande valenza. Intendiamo sviluppare molte iniziative, dare opportunità per avviare attività imprenditoriali in questo settore e, non ultimo, inserire questa categoria tra quelle premiate dalla Camera di commercio che ogni anno assegna un riconoscimento di 5.000 euro a fondo perduto ad aziende in rosa che si distinguono per originalità e creatività imprenditoriale.

Cosa rispondi agli stereotipi secondo cui le donne non possono fare l’autista perché è un mestiere difficile da conciliare con famiglia e figli?
Rispondo con una domanda: «Le hostess che stanno a migliaia di chilometri di distanza, non vale lo stesso per loro?». Eppure sono anni, decenni che fanno questo lavoro. Negli anni 60-70 era una cosa molto ambita per le ragazze. Non siamo quindi difronte a un pregiudizio? Voglio andare ancora più avanti. Le astronaute stanno mesi e mesi nello spazio senza vedere la famiglia. Perché non si applica a loro questo ragionamento?

Che cosa possono fare le istituzioni e le aziende per facilitare l’ingresso delle donne in questo settore?
Le istituzioni devono impegnarsi per creare dei percorsi didattici nelle scuole superiori. Degli istituti tecnici per i trasporti e la logistica, sull’esempio dell’alberghiero o dell’agrario. Questo, ne sono sicura, cambierebbe l’approccio e darebbe al settore personale specializzato. Le aziende multinazionali già sono attente ad assumere un numero pari di donne e uomini. Qui forse la parità di numero c’è, ma abbiamo ancora un gap dal punto di vista remunerativo. Nella mia azienda impiego un numero uguale di uomini e donne, anzi, queste ultime percepiscono retribuzioni più alte per via dell’inquadramento. Ho fatto in modo che tutte le postazioni siano semi-fisse. Loro possono portarsi il computer a casa e lavorare da remoto per gestire il tutto con serenità, per agevolare lo scorrimento delle loro vite. Abbiamo da molto tempo quindi adottato una forma di lavoro agile. È una scelta basata sulla mia esperienza personale che mi ha portato a fare delle scelte, a volte sofferte, per conciliare il lavoro e la vita.

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