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Elda Guarise, «I miei primi 25 anni in cabina»

25 anni a bordo del suo camion e ancora molti altri davanti a sé, perché come dice lei «per farmi scendere dovete tagliarmi le gambe». Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una delle prime dieci Ambassador di Volvo Trucks. Un marchio che per lei è come “la squadra del cuore”. Il campionato è quello dell’autotrasporto, diventato – per sfida – la sua più grande passione

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Cosa si prova a essere un punto di riferimento per tante giovani autiste? «Proprio l’altro giorno mi hanno soprannominata “una storica del settore”, ho risposto che è meglio dire che sono vecchia. È questa la verità». Ride Elda, una risata contagiosa che si concede a fine turno quando la raggiungiamo per telefono. Ha terminato le ore ed è nel posteggio di un ristorante, un posto di fiducia, dove aspetta «di mettere le gambe sotto al tavolo».
Elda Guarise, 60 anni il prossimo 13 marzo, è una veterana, in cabina da 25 anni. «E non intendo smettere di lavorare – precisa – devono tagliarmi le gambe per farmi scendere dal camion». Ed è proprio da quella cabina che ci racconta la sua storia, con la sua grinta invidiabile e il suo inconfondibile accento padovano.

I motori sono sempre stati la sua passione, fin da quando da appena poco più che bambina iniziò a lavorare come carrellista in un magazzino di frutta e verdura vicino casa, a Rossano Veneto. «Erano altri tempi, oggi sarebbe impensabile per una ragazzina di appena quattordici anni, ma allora la mia famiglia ne aveva bisogno e così durante le vacanze mi davo da fare. Ricordo questi camion enormi che arrivavano dall’estero per portare via la frutta, li ho sempre guardati con grande fascino».
Poi Elda cresce e arriva anche l’amore per Giovanni che presto diventa suo compagno di vita e di lavoro. «Quando ci siamo sposati mio marito ha deciso di riprendere in mano l’attività di suo padre che aveva un’azienda di autotrasporto e così abbiamo comprato casa e camion. Dopo la nascita dei nostri bambini mi propose di iniziare a dargli una mano sul lavoro, ma a dire il vero non si aspettava che avrei colto al volo la sfida. Mi sono iscritta subito a scuola guida, registravo tutte le lezioni e le riascoltavo con le cuffiette il giorno dopo, mentre badavo alla casa e ai figli. Una volta ottenute le patenti sono salita in cabina e non sono più scesa». Elda non dimentica di sottolineare una volta di più che non ha proprio intenzione di smettere. «Cosa devo dire, dovrei trovare qualcuno che mi sostituisca ma non è facile in questo momento trovare altri autisti. Abbiamo cinque camion da mandare avanti». Ogni tentativo di farle cambiare idea è stato vano: «Mia figlia più grande ha provato a convincermi a farmi fare almeno viaggi più brevi, ma non c’è riuscita nemmeno lei». Elda, infatti, ama i viaggi lunghi e la vita in cabina. «Rientro a casa un paio di volte alla settimana, ma per lo più dormo fuori. Ho un Volvo centinato con cui attraverso il Nord Italia e la Svizzera». Quando Elda parla del suo camion si entusiasma. Non a caso è una delle prime dieci Ambassador della casa svedese. «Sono orgogliosa di far parte di questa grande famiglia. È un po’ come tifare per la squadra del cuore». Il suo entusiasmo è contagioso e si capisce quanto ami la sua vita da camionista, nonostante non neghi le difficoltà del caso. «O hai la passione o questo lavoro non ce la fai a farlo, richiede sacrificio. Io è dalle 3 di questa mattina che sono in piedi. Sì sono stanca, però in fondo sto bene, mi sono abituata. Questa è la mia vita e mi piace».

Non può essere però tutto oro quello che luccica, così le chiediamo se ci sia anche qualche aspetto negativo, qualcosa che le piacerebbe cambiasse. «Mancano i servizi per gli autisti e soprattutto per le donne e, quando ci sono, spesso sono sporchi. Poi per carità, bisogna ammettere che a volte la colpa è anche nostra e parlo al plurale perché voglio mettere dentro tutti, senza puntare il dito conto nessuno. Le persone maleducate purtroppo ci sono, sporcano, lasciano l’immondizia per terra. Il risultato è che ne paghiamo tutti le conseguenze».

Poi ci racconta di un brutto incidente avvenuto qualche anno fa. «Di quegli istanti ricordo tutto: il panico nella frazione di un secondo durante la quale ho dovuto decidere come comportarmi, se spostarmi sulla corsia accanto rischiando di prendere qualcuno o se andare a sbattere io, il rumore delle lamiere che si accartocciano, lo shock successivo. Quando sono scesa il camion era distrutto, io per fortuna non mi ero fatta un graffio». Però la ferita era rimasta dentro. «La notte rivivevo quei momenti, non dormivo, ero terrorizzata all’idea di tornare in cabina. Se non fosse stato per mio marito avrei smesso. È stato lui che ancora una volta, come sempre, mi ha incoraggiata a riprendere in mano il volante. Il giorno in cui sono tornata a guidare, appena una settimana dopo l’incidente, ho pianto». Se Giovanni è il suo primo sostenitore, lo stesso vale per i tre figli, Marta, Ermes e Mattia, anche loro oggi impegnati nell’azienda di famiglia, la Jolli Trans di Cittadella. «Devo tutto a loro e soprattutto a mia figlia, che è stata per i suoi fratelli più piccoli una seconda mamma quando io non c’ero». Assenza che però non è mai stata davvero tale. «Gli lasciavo la casa piena di post-it con indicazioni e istruzioni su cosa fare e come farlo. Diciamo che li controllavo a distanza. Lo faccio ancora oggi, ma uso i messaggi». Ride, e poi aggiunge «Una mamma non si ferma mai: quando torno a casa sistemo, pulisco, cucino, organizzo per quando sarò via. E adesso sono anche nonna di quattro nipoti che cerco di godermi nel weekend. In fondo non conta la quantità di tempo che si trascorre insieme, ma la qualità. Lo dimostra quanto siamo uniti nella nostra famiglia, anche sul lavoro». E chissà se un giorno i nipotini seguiranno le orme dei nonni. «I bimbi sanno che lavoro facciamo, vedono il camion posteggiato in cortile e ci giocano». Come si dice, se son rose fioriranno.

C’è un’ultima curiosità che però ci vogliamo togliere. Elda – le chiediamo – ma ti hanno mai fatto pesare di essere una donna? «Ma sì, qualche battuta stupida è capitata e capita ancora. Anche l’altro giorno mi hanno detto che le donne non dovrebbero fare certi lavori. Ho risposto che sono punti di vista. Non ci faccio neanche più caso, tengo conto solo delle cose belle». Lo dice con il suo modo: leggero, ma mai superficiale. Sembra proprio un consiglio da mamma, o meglio, da “veterana”.

La salutiamo e la lasciamo godersi il suo riposo e la sua cena. Ci dice ancora una volta che lei sta bene, ha tutto nella sua cabina che da ormai venticinque anni è la sua seconda casa viaggiante «e quello che manca è nella borsa, come quella di Mary Poppins». E proprio come la tata più famosa del mondo, Elda non manca mai di strappare un sorriso a chiunque o un consiglio per le nuove, giovavi leve che in lei vedono un esempio.

«Una mamma non si ferma mai: quando torno a casa sistemo, pulisco, cucino, organizzo per quando sarò via. E adesso sono anche nonna di quattro nipoti che cerco di godermi nel weekend. In fondo non conta la quantità di tempo che si trascorre insieme, ma la qualità. Lo dimostra quanto siamo uniti nella nostra famiglia, anche sul lavoro»

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