«Il Covid ci ha profondamente toccato, ci ha costretto a lavorare per mesi da casa 15 ore al giorno e ha modificato la nostra vita e quella degli autisti, uomini e donne coraggiosi che hanno lavorato senza risparmiarsi. Anche loro hanno avuto paura, come tutti, ma hanno continuato a lavorare. E di questo vanno ringraziati». La voce di Cristina Rossi trasmette forza e organizzazione: si capisce immediatamente che è abituata a gestire la complessità, a ricomporre il puzzle quotidiano che una casa di spedizioni deve mettere insieme per i suoi clienti, per i suoi autisti, per i partner internazionali. Da 34 anni è al timone di Alaska Trasporti, forse unica realtà della logistica nazionale ad avere uno staff composto da sole donne.
Nata a Cesena nel 1986, grazie alla determinazione di Cristina e della sua socia Morena Caroli, oggi è una realtà composta da 7 dipendenti e 5 milioni di fatturato che ha reso il “groupage” lo strumento privilegiato con cui inviare prodotti freschi e surgelati in tutta Europa, anche in piccole quantità, per assecondare così un tessuto distributivo quanto mai variegato. E gli uomini? «Ho avuto collaboratori uomini, ma preferisco le donne, hanno caratteristiche più in linea con questo lavoro. I manager della logistica dovrebbero capirlo».
Voi lo avete capito fin dall’inizio?
Alaska Trasporti è nata da un’intuizione che ho condiviso con Morena Caroli, tuttora mia socia. Avevo lavorato presso un’agenzia di viaggio e lì mi venne un’idea: applicare lo stesso modello organizzativo usato per gli spostamenti delle persone alla movimentazione delle merci. Dopo un periodo formativo presso una società di trasporti internazionali, ho deciso di provare. Una scommessa tanto azzardata, una grande sfida, che ha richiesto determinazione e coraggio.
È vero che le istituzioni spesso vi hanno negato le autorizzazioni imputando la scarsa capacità professionale in quanto donne?
Sì, gli ostacoli economici e burocratici non sono mancati, abbiamo dovuto vincere la diffidenza degli operatori di un settore tradizionalmente maschile, ma anche quella di istituzioni che ci accusavano di non avere requisiti di base, come la capacità professionale. Superare sguardi di compatimento ai primi appuntamenti con manager, in particolare nelle grandi aziende, imparare a ignorare pregiudizi, fingere di non sentire commenti infelici e maschilisti: sono stati forse questi i momenti più duri, ma volontà, precisone, attitudine, professionalità e, soprattutto, umanità e sensibilità, ci hanno aiutate e hanno fatto la differenza.
Anche nell’offerta di servizi, però, avete portato novità?
Quando abbiamo fondato Alaska abbiamo introdotto il groupage, allora non molto diffuso. Oggi pianifichiamo e organizziamo trasporti internazionali di prodotti alimentari freschi e surgelati a carico completo, ma soprattutto di piccole partite. In questo modo, consentiamo ai piccoli produttori di fare arrivare i loro prodotti sui mercati e nei supermercati in tempi brevissimi. Ogni giorno dobbiamo comporre il nostro puzzle fatto di tessere sparse in tutta l’Europa.
Che rapporto avete con i clienti, i fornitori e gli autisti uomini? Cosa dicono di voi?
Abbiamo un ottimo rapporto con la nostra committenza, basato sulla reciproca stima e fiducia. Lo stesso vale per quanto riguarda i vettori e, in particolare, gli autisti che apprezzano moltissimo il nostro modo di dialogare, sempre attento alle esigenze di tutti, il nostro modo di comprendere chi svolge un’attività faticosa, lontano da casa e dagli affetti.
Che cosa pensa delle donne nella logistica o al volante di un camion?
Nel corso degli anni sono aumentate le donne che si occupano di logistica, mentre rimangono pochissime coloro che si mettono alla guida di automezzi. Ne ho conosciuta qualcuna, sono rimasta affascinata dalla loro scelta di vita. Mi sono fatta l’idea che si tratti di una vocazione: tutte mi hanno riferito che c’è tanta solidarietà sulla strada, tanto rispetto e nessuna rivalità con i colleghi uomini. Resta comunque una professione molto pesante dal punto di vista fisico, non tanto per la guida, ma per tutte quelle azioni accessorie che vengono richieste, come la movimentazione dei bancali, l’aiuto nelle procedure di carico/ scarico e altre incombenze che rendono difficile, a mio avviso, la diffusione di questo mestiere tra le donne.
TRATTI E RITRATTI
Il team della Alaska Trasporti schierato al completo nel 2016 per partecipare con un proprio stand al Macfrut, fiera di riferimento per il settore ortofrutticolo, nata a Cesena e adesso trasferitasi a Rimini.L’Italia e la Germania: ci sono due cartine alle spalle di Cristina Rossi, due riferimenti spaziali importanti per il lavoro di Alaska e anche due mercati sui quali la società è particolarmente attiva.
Troppo spesso si tende a pensare che una donna attiva nel lavoro tralasci qualche aspetto del suo privato. Inutile dire che non è affatto così. Cristina Rossi è felicemente sposata (con l’uomo con cui è in compagnia in questa foto) e semmai protegge il suo privato. Proprio perché ci tiene.
Secondo lei ci sono alcune azioni che le istituzioni o anche le singole aziende possono mettere in campo per attrarre maggiormente le donne nel settore?
Sinceramente non so. Per quanto mi riguarda si è trattato di pura vocazione. Bisognerebbe far capire ai logistici quanta determinazione, grinta e responsabilità possono portare le donne in un lavoro in cui sono richieste grande dinamicità, spiccato senso pratico e spirito di sacrificio, tutte doti innate per le donne. Allo stesso tempo, bisognerebbe spiegare alle donne che è un lavoro ricco di soddisfazioni, in conti nuo fermento, molto vario, che offre la possibilità di confrontarsi e di relazionarsi con culture e Paesi diversi e in cui non si smette mai di imparare.
Come ha affrontato l’emergenza sanitaria?
Abbiamo lavorato da casa come tutti. Gestire la complessità del nostro lavoro da remoto è molto pesante: lavoriamo 15 ore al giorno, ma non ci lamentiamo. Il Covid ci ha profondamente toccato, cambiando la nostra vita e quella degli autisti, uomini e donne coraggiosi che hanno lavorato senza risparmiarsi. Anche loro hanno avuto paura, come tutti, ma hanno continuato a lavorare. E di questo vanno ringraziati. È vero che, parlando con loro, ribadiscono di non essere eroi, in quanto non hanno fatto niente di straordinario, ma è certo che hanno lavorato senza sosta per tutti, per non far mancare le merci essenziali, spesso in condizioni precarie, senza alcuna aggregazione, con pochi spazi per potersi nutrire, nessun caffè, tra estenuanti controlli ai confini, scrupolosissime disposizioni alle quale attenersi nei vari depositi di carico- scarico. Ciò che più conta, secondo me, è che finalmente tutti noi abbiamo imparato a trattarli con maggiore dignità, rispetto e umanità.