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Come lasciare tutto per correre dietro a un camion

Stravolgere la propria vita per inseguire il sogno di guidare un camion. No, non è la trama di un bel film, ma una storia di vita vera e, soprattutto, una storia di coraggio e determinazione. È la storia di un’autista, Marta Bertazzo – “Lola” per chi la conosce e la vede a bordo del suo mezzo – che dopo quindici anni trascorsi a lavorare come grafica pubblicitaria ha lasciato tutto per ritrovare se stessa, in cabina

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39 anni, coraggio da vendere e la calma nella voce di chi sa di aver intrapreso la strada giusta, Marta soppesa le parole, così come racconta di aver soppesato bene la sua scelta prima di lanciarsi in questa avventura. «Mi è sempre piaciuto guidare, ma mai avrei creduto di farlo per lavoro. È un sogno relativamente recente, un’idea che ha iniziato a balenarmi in testa solo qualche anno fa, fino ad allora l’unico camion che avessi mai visto era quello della Coca Cola nelle pubblicità natalizie», racconta ridendo.

Cosa è scattato poi?

Sono una persona riflessiva, se mi viene un’idea non la assecondo subito, lascio che si sedimenti e quando mi rendo conto che continua a tornarmi in testa, allora valuto il da farsi. Cinque anni fa quando ho capito che quella per la guida era una passione troppo forte ho comprato un fuoristrada. Ho iniziato ad approcciarmi a questo mondo e mi è piaciuto. Allora lavoravo come grafica e sviluppatrice di siti internet, nessuno in famiglia faceva l’autista, mio papà era un programmatore di software, mamma un’educatrice privata. Non è stata una decisione presa d’istinto quella di lasciare tutto per fare l’autista. Ho aspettato, ho riflettuto e alla fine ho deciso. Mi piaceva lavorare come grafica, ma a un certo punto mi sentivo troppo dentro a quei pixel, avevo bisogno di persone, di concretezza, avevo bisogno dell’asfalto. Era l’autunno del 2019 quando mi sono iscritta per prendere la patente C, poi è arrivato il Covid. Ho studiato durante il lockdown e nel giro di un anno ho preso anche la CQC e la E. Sapevo di dover arricchire il mio curriculum, completamente vuoto in questo settore, per crearmi più possibilità in futuro.

«Questa professione
ti fa crescere,
ti rende consapevole
delle
tue capacità,
ti mette
alla prova»

Quando e come hai iniziato a fare l’autista?

Quattro mesi fa. Abito in provincia di Rovigo, qui forse non ci sono tutte le opportunità che si possono trovare altrove, ma c’è una bella realtà a cui mi sono rivolta, il consorzio ortofrutticolo TransLusia, che mi ha accolta e che mi sta insegnando tanto. Oggi lavoro come frigorista mi sembrava la strada più giusta da seguire, almeno agli inizi, è una buona porta di ingresso per innamorarsi di questo mestiere.

Com’è cambiata la tua vita?

Oggi ho molte più ore occupate dal lavoro rispetto a prima, quando potevo gestire da sola il mio tempo, anche se in realtà quando lavori in autonomia non stacchi mai. Avere dei colleghi, un datore di lavoro e degli orari fissi è un’esperienza totalmente diversa per me. Non è una decisione che ho preso da sola, perché se si ha qualcuno con cui si condivide un percorso di vita è una scelta da fare insieme. Il mio compagno mi ha ascoltata e ha condiviso le mie scelte, è stata una grande dimostrazione da parte sua. Anche come donna sono cambiata, questa professione ti fa crescere, ti rende consapevole delle tue capacità, ti mette alla prova.

Oltre al tuo compagno, le persone attorno a te come hanno accolto la tua scelta?

Le persone, soprattutto gli uomini devo ammettere, mi chiedono spesso come faccio a gestire la famiglia con questo lavoro, perché lo stereotipo c’è, è innegabile, ma siamo noi a dover dimostrare che invece è possibile. Anche le donne che lavorano nei grandi magazzini della logistica fanno i turni, lavorano la notte, conciliare la vita privata con quella lavorativa non è un problema che riguarda solo l’autotrasporto, ma tutti i lavori. Le scuderie più intelligenti iniziano a sentire l’esigenza di un’apertura alle autiste donne, capiscono che è un plus e per me è un fattore positivo, l’importante è che ci sia una progressione, poi sta a noi dimostrare che è un passo nella direzione giusta. Non deve essere però solo pubblicità. Faccio un esempio: nei magazzini raramente c’è un bagno riservato alle autiste, ti mandano in quello delle impiegate. Se le imprese vogliono una maggiore presenza femminile nel settore e la si esalta, allora bisogna anche essere coerenti, riconoscere il valore della differenza e prevedere i servizi giusti per ciascuno. Non pretendiamo una sala da tè, ma un servizio essenziale.

Come ti senti oggi quando sei alla guida?

All’inizio avevo paura di fallire, di aver fatto un errore. Non sono più una ragazzina che ha davanti a sé tutta la vita per provare diverse strade, stavo lasciando il mio lavoro, già ben avviato, per qualcosa di totalmente nuovo. Ma come un nuovo vestito va provato per capire se ci sta bene addosso, lo stesso va fatto anche con il lavoro. Alle volte mi ritrovo a pensare “ma ti rendi conto di dove sei?”. L’autostima sale a mille, è esaltante, ti stringeresti la mano da sola, ma devi tenere le mani ben salde sul volante.

«Tanti, soprattutto uomini, mi chiedono spesso come faccio
a gestire la famiglia con questo lavoro, perché lo stereotipo c’è,
è innegabile, ma siamo noi a dover dimostrare che invece
è possibile»

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