Come vi immaginate un autotrasportatore? Se la vostra risposta è «basso, tarchiato, con la canottiera e la pancia prominente», Roberto Spizzirri è ciò che vi serve per piallare questi luoghi comuni. Perché il titolare della Spiz Trasporti è alto, affascinante e in forma perfetta. E quando lo vedi accanto a un camion ti ricorda uno di quei modelli utilizzati dalle banche immagini per impersonare finti autisti, rigorosamente vestiti con camicie a quadri e armati di dentatura perfetta. Spizzirri, invece, è vero e ad appena 41 anni ha già messo in piedi un’azienda robusta che muove ogni giorno 150 camion, di cui 100 suoi e 50 di padroncini in subvezione. Vero lui e vera la sua vicenda, che sembra un compendio delle tradizioni e delle problematiche tipiche del settore. Perché, come tanti di quelli che fino a qualche anno fa sceglievano questa professione, ha preso la patente per camion durante il servizio militare. Come tante delle aziende più vivaci sul mercato, la sua ha un’anima green espressa nella dedizione assoluta al trasporto intermodale. Come tante delle aziende fronteggia la carenza di autisti e, come tutte, combatte per quadrare i conti di fronte a un contesto in cui i prezzi schizzano e i camion scarseggiano. Ma procediamo con ordine.
L’ottimo rapporto con la rotaia
Spiz Trasporti vede la luce come impresa individuale nel 2000. È una nascita costretta perché Roberto, allora poco più che un ragazzo, deve rimboccarsi le maniche per reagire all’improvvisa scomparsa del padre. Per farlo – ricorda – «ho sfruttato la patente per condurre i camion, presa durante il servizio militare, come opportunità per avere un lavoro». Opportunità oggi svanita e di cui, quando si discetta delle cause a monte della carenza di autisti, bisognerebbe tener conto. I primi passi li muove trasportando cemento e poi container, quindi dopo qualche anno da dipendente decide di camminare sui propri camion. Dopo quasi 10 anni cambia forma giuridica – si trasforma cioè da società di persone in società di capitali, anticipando quella scelta che dal 2010 al 2021 hanno fatto (dati Unioncamere) quasi 10 mila autotrasportatori – e dopo altri 10 arriva allo stadio attuale, quando mette insieme il parco veicolare ricordato, votato al combinato strada-rotaia per movimentare container, casse mobili, cisterne e i sempre più richiesti semirimorchi P400. Il quartier generale dell’azienda è a Cusago (Milano), dove si concentrano in un deposito di 10 mila mq le attrezzatture da trasportare, mentre per lo scambio intermodale si parte dai terminal del Nord Italia (Segrate, Busto Arsizio, Novara, Melzo, Mortara, Domodossola) per puntare verso Belgio, Germania, Olanda, Norvegia. E oggi che, con la transizione energetica e il favore comunitario per questa tipologia di trasporto, il combinato progredisce, Spiz è riuscito a crescere del 15% anche in un anno malato come il 2020 e di oltre il 20% nel 2021. Complice pure la Brexit – spiega il suo titolare – «che ha indotto molte società prima presenti su quella direttrice con il tutto-strada, a convertirsi all’intermodale per spendere meno e per arginare sia le attese alle dogane sia la carenza di autisti».
Spizzirri non lo dice, ma mentre parla è spontaneo individuare una delle chiavi del suo successo nell’essersi dedicato tanto all’estero. I committenti italiani della Spiz sono mosche bianche e anche i trasporti lungo la penisola seguono sempre logiche intermodali. «È raro – sottolinea Spizzirri – che prendiamo in carico un container e lo portiamo in Campania, Puglia o Calabria via strada. Cerchiamo sempre un equilibrio chilometrico con la rotaia, giocando a Tetrix con i camion e facendogli percorrere al massimo 400 km circa al giorno, 8.000 al mese, tutti a pieno carico. E nel tempo trovare questo equilibrio è stato più facile perché le infrastrutture aumentano, anche sotto la spinta di crescenti esigenze ambientali».
La gestione degli autisti
Se i camion della Spiz percorrono pochi chilometri verrebbe da pensare che gli autisti siano sollevati dagli stress indotti dal percorrere su strada tratte troppo lunghe. Ciò non basta però per mettersi al riparo dal problema della carenza, segnato anche per l’azienda milanese da una duplice valenza: di autisti ce ne sono pochi e quei pochi – contrariamente alle 22 persone che lavorano nell’ufficio traffico e in amministrazione, tutti under 40 – non sono più giovanissimi. I conducenti italiani sono di più (il 70%), ma hanno un’età media di 56 anni. Gli stranieri si fermano a 45 anni, anche se «ce n’è qualcuno – sottolinea Spizzirri con orgoglio – «che lavora con noi da 18. Uno, addirittura, ha inserito in azienda il figlio, caso più unico che raro». Segno che evidentemente non li tratta male, come dimostra il fatto che, in questa fase critica, Spizzirri abbia concesso aumenti retributivi dal 15 al 25%. Soldi che ha potuto investire in fidelizzazione, anche perché – prima – è riuscito a sensibilizzare i clienti e a ottenere da loro tariffe migliori. In uno schema economico che non sarà circolare, ma fa girare al meglio i soldi.
L’arrivo dei Ford Trucks
Per fronteggiare invece la mancanza di camion, indotta da lunghi tempi di consegna, qualche mese fa Spizzirri ha acquistato otto Ford Trucks F-Max convinto da Massimo Portalupi della concessionaria Fortruckers di Assago, che «lo ha fatto ingolosire» – dice testualmente –impegnandosi al massimo per consegnarli il prima possibile. La loro accoglienza è stata imprevista: «Malgrado in flotta – continua Spizzirri – abbiamo veicoli di marchi premium con non più di 4 anni di vita, curati tramite officina interna per scongiurare al massimo i fermi macchina, gli autisti sono rimasti entusiasti dei Ford. Addirittura, il più anziano ha chiesto espressamente di guidarne uno perché lo preferiva agli altri».
Sul fronte dei consumi Spizzirri non si sbilancia, ma si capisce che non è uno che si accontenta. Per ottimizzarli infatti si affida a tutto, dagli pneumatici green ai sistemi di assistenza alla guida più avanzati. «Per il momento i Ford rispondono bene – dice – ma credo possano fare ancora meglio quando arriveranno intorno ai 50-60 mila km». In più, per ottenere di più studia la doppia mappatura degli F-Max: «Stiamo testando su alcune tratte gli stessi mezzi facendoli viaggiare per 15 giorni a 450 CV e per altri 15 a 500 CV per poi confrontare i dati. Ritengo che non sempre convenga viaggiare alla massima potenza e, in particolare con certi pesi (nell’intermodale si trasportano anche 28 tonnellate), penso si possa risparmiare riducendola. Magari verrà fuori uno “zero-virgola” in meno, ma se lo si moltiplica per 100 mezzi diventano soldi, a maggior ragione con quello che costa il gasolio».
Tutte soluzioni che oggi appaiono palliativi sospesi. Perché nella contingenza attuale i problemi diventano una sorta di videogioco, in cui terminato un quadro ne inizia subito un altro. E non è detto che sia migliore. «Con la pandemia non ancora archiviata – scuote la testa Spizzirri – sono arrivati i venti bellici dall’Est che l’hanno fatta passare in secondo piano». E poi, per spiegare il concetto cita un suo cliente, arrivato per paradosso a rimpiangere il periodo dellockdown, quando «comunque si continuava a lavorare, il gasolio costava la metà, il traffico era azzerato, gli autisti erano meno arrabbiati e, per un breve periodo, persino considerati eroi». Ecco cosa significa quell’espressione: «Si stava meglio, quando si stava peggio».