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«Il trasporto merci? È un servizio pubblico. E vi spiego perché»

Non fa giri di parole il professore napoletano attualmente alla guida della società in house del ministero dei Trasporti. E dopo aver constatato che il nostro sistema economico ci concede scorte per cinque giorni, ne deduce la necessità di considerare il trasporto merci, almeno in condizioni di crisi, un servizio di interesse generale, da tutelare con strumenti finanziari dedicati. E anche rispetto ai divieti di circolazione per i tir ritiene opportuno cambiare metodo, rendendoli più coerenti ai dati di traffico

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Un calendario dei divieti per i mezzi pesanti basato sull’intensità del traffico e diversificato nelle varie direttrici della penisola, con week end off e on in base ai dati. La proposta suona rivoluzionaria, ma non è la sola tra quelle avanzate da Ennio Cascetta, attuale presidente di RAM, società in house del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in questa intervista rilasciata a Uomini e Trasporti. Il professore (alla Federico II di Napoli) con una lunga carriera nei trasporti è deciso a non far abbassare il sipario sulla logistica dopo la grande visibilità avuta durante il primo lockdown, elevandola a «settore industriale con una propria politica», ma anche «come servizio pubblico capace di intervenire in caso di altre crisi».

Il trasporto merci come servizio pubblico: quali potrebbero essere i benefici e quali i passaggi da attuare?
Tutti si sono resi conto durante il lockdown di come la logistica sia una funzione economica vitale per l’approvvigionamento di prodotti e materie prime per imprese e cittadini. Se si fosse fermata la logistica, nei supermercati e nelle farmacie avremmo avuto gli scaffali vuoti. Abbiamo capito che la logistica è ciò che ci tiene sempre cinque giorni lontano dalla carestia perché le scorte che abbiamo durano al più cinque giorni. Per questo, il trasporto merci va considerato un servizio di interesse economico generale. Ritengo quindi necessario definire un livello minimo di servizi di trasporto essenziali con strumenti finanziari dedicati, a garanzia delle imprese che lavorano in condizioni di crisi o emergenza. A tal proposito reputo molto importanti le conclusioni del Consiglio europeo del 21 ottobre che invitano la Commissione Europea a elaborare un piano di emergenza e di resilienza per il settore del trasporto di merci in caso di pandemia o altra grave crisi, attraverso l’istituzione di regimi finanziari di sostegno ad hoc, semplificando per esempio la normativa sugli aiuti di Stato alle imprese.

Con la pandemia la logistica ha subito un forte arresto rispetto ai ritmi di crescita del 2018-19. Non tutte le modalità però hanno “perso” allo stesso modo. Quali sono e da cosa dipendono le differenze?
Il trasporto merci, in particolare, ha registrato performance più che positive per tutti i comparti tra il 2009 e il 2019, un vero decoupling rispetto alla crescita bassissima del PIL, dovuto a diverse cause macro-economiche e grazie anche all’attivazione degli incentivi per lo shift modale su ferro e mare. Ovviamente ha subito una battuta di arresto nel 2020: c’è stato un calo medio delle percorrenze dei veicoli pesanti pari al 21% nel periodo marzo-giugno rispetto alle percorrenze medie pre-Covid, che tuttavia va confrontato con cali dal 50 al 90% della mobilità viaggiatori nello stesso periodo. L’autotrasporto ha comunque contenuto il crollo, anche grazie al boom dell’e-commerce e delle consegne a medio-corto raggio. C’è stata anche una sostanziale tenuta del comparto ferroviario, in particolare di quello intermodale, che è risultato resiliente anche sulle tratte internazionali interessate dai blocchi alle frontiere causa pandemia. Il comparto marittimo, invece, ha cominciato a soffrire dalla seconda metà di aprile anche per effetto del lag temporale sulle tratte internazionali; i porti maggiormente interessati da traffico internazionale hanno comunque tenuto meglio rispetto ai porti domestici.

Ci sono anche grandi sfide in arrivo. Una su tutte, l’ingresso nel mercato di colossi del calibro di Amazon. Quali risposte dovrebbe mettere in campo il settore?
L’e-commerce è stato uno degli elementi che ha dato la spinta alla logistica in questo periodo buio: dovremmo trovare delle sinergie, stabilire un link con Amazon così come con altri operatori. L’aumento esponenziale degli acquisti on-line dei consumatori appare una tendenza incontrovertibile che se da un lato genera prospettive espansive del mercato, dall’altro deve essere necessariamente governato. In tal senso, occorrono linee guida nazionali sulla pianificazione delle city logistics a favore delle municipalità, nonché una responsabilizzazione del consumatore finale sulle conseguenze in termini di costi per la collettività dei suoi acquisti e, aspetto non secondario, dei suoi “resi”, appaiono di fondamentale importanza.     

Restiamo all’autotrasporto. Stando ai dati presentati durante l’assemblea di Anita, sembrerebbe che a soffrire di più siano le grandi realtà con più di 250 dipendenti. Non è un risultato in controtendenza? Come lo spiega?
È un risultato che va visto con riferimento al solo periodo del lockdown e perlopiù su un campione ristretto di aziende. La maggior parte delle Pmi hanno subito forti cali di domanda, tra il 20 e il 50%, mentre una percentuale ancora più alta di grandi imprese ha subito un crollo, oltre il 50% della domanda, probabilmente dovuto alla fase di crisi e al costo della gestione. Le grandi realtà sono sicuramente più stabili sul lungo periodo.

COME FAVORIRE L’AGGREGAZIONE
«Occorrerebbe rafforzare la riduzione del cuneo fiscale del lavoro nel caso di aggregazione di imprese di filiera, stabilizzare e rafforzare l’ACE
ai fini della capitalizzazione delle Pmi»

I FLESSIBILI DIVIETI PER CAMION
«Sull’analisi dei dati di traffico sulle diverse direttrici,
potremmo definire un calendario più articolato,
dando la possibilità ai mezzi pesanti di circolare in week end con scarso traffico, per esempio a novembre. E bloccarli in situazioni di picco,
come nei fine settimana di agosto»

Però la maggior parte delle aziende sono sottocapitalizzate. E le politiche che hanno cercato in passato di agevolare le aggregazioni hanno fallito. Su quali leve bisognerebbe lavorare per farle funzionare?
Rispetto alle agevolazioni per le aggregazioni di imprese, nonostante i soddisfacenti risultati raggiunti grazie agli strumenti messi in campo, probabilmente occorre fare di più. È sotto gli occhi di tutti la frammentazione e la ridotta scala dimensionale delle nostre imprese, in particolare nel settore dell’autotrasporto, che si legge anche nel peculiare dato per cui il nostro import ed export su gomma da/verso l’Europa viene sostanzialmente trasportato per il 70% da vettori esteri. Oltre a estendere l’importo dei maggiori valori fiscalmente riconosciuti derivanti da operazioni di aggregazione di cui al Bonus Aggregazioni, occorrerebbe rafforzare la riduzione del cuneo fiscale del lavoro nel caso di aggregazione di imprese di filiera, stabilizzare e rafforzare l’ACE ai fini della capitalizzazione delle Pmi. Ritengo necessario anche passare attraverso un’operazione che sappia valorizzare la qualità del trasportatore. Nell’ambito del progetto Guidiamo Sicuro abbiamo proposto il rilascio di un «bollino verde» da parte di organismi di certificazione accreditati ad esito dell’espletamento dei percorsi di formazione, a cui associare anche il riconoscimento di benefici fiscali, contributivi e/o operativi alle imprese, al fine di accrescere la competitività dei vettori nazionali che garantiscono standard di sostenibilità e sicurezza sul mercato.

In ballo c’è anche l’ipotesi di dare la possibilità agli autisti “certificati” di viaggiare nei week end…
Certo e non solo. Sulla circolazione dei Tir nei fine settimana è in atto un’ampia riflessione anche sul modello applicato in altri paesi europei, come la Spagna per esempio. Non credo arriveremo a una liberalizzazione indifferenziata, ma sull’analisi dei dati di traffico sulle diverse direttrici, potremmo arrivare a definire un calendario più articolato, dando la possibilità ai mezzi pesanti di circolare in week end con scarso traffico, per esempio a novembre. E bloccarli in situazioni di picco, come nei fine settimana di agosto oppure su determinate direttrici più frequentate per diversi motivi. Un modello articolato su cui sta lavorando anche il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Guardando ai porti, si direbbe che il sistema abbia tenuto anche grazie ai traffici internazionali, seppure spesso siano controllati da operatori stranieri per l’abitudine delle aziende di operare in franco-fabbrica. Com’è possibile invertire questa tendenza?
Il franco fabbrica affascina le aziende italiane perché riduce al minimo oneri e obbligazioni a carico dell’esportatore. Cosa che accade perché ancora oggi il trasporto è percepito come una seccatura, un costo e non un’opportunità. In Italia non è diffusa ancora la concezione che il trasporto generi valore aggiunto, e di tale mancanza ne hanno tratto giovamento grandi operatori esteri. È quindi, anzitutto, necessario fare un importante cambio di mentalità, tutelare l’azienda italiana che produce trasporto perché anche in quel caso si parla di made in Italy, o più correttamente carryed by Italy. E questo si incentiva aiutando le aziende a testare nuove forme di vendita (come quella a franco destino) esaltando i vantaggi che queste comportano: meno ambiguità legata alle operazioni di carico della merce, rapporti con i vettori del trasporto, imponibilità dell’IVA, controllo delle operazioni doganali, ecc.

Una politica industriale per il settore, in altre parole…
È imprescindibile il piano di sviluppo delle infrastrutture di trasporto, ben delineato in #ItaliaVeloce, con l’identificazione degli assi infrastrutturali prioritari per il segmento cargo; pensiamo al completamento della rete compatibile con il TEM, il treno europeo merci o al potenziamento delle reti autostradali e statali o a interventi di manutenzione su rete stradale, al potenziamento di porti e aeroporti cargo con focus su connessioni di ultimo e penultimo miglio. Ma non basta. La logistica del paese deve essere concepita e pianificata a lungo termine come una vera e propria industria nazionale, definendo tutte quelle componenti che possano favorirne lo sviluppo e ovviare alle criticità persistenti: accanto all’aspetto infrastrutturale, mi immagino azioni specifiche sulla digitalizzazione della catena logistica, sulla formazione degli addetti, sulla sostenibilità del comparto anche attraverso incentivi “smart” a sostegno della intermodalità, sulla costruzione di un sistema resiliente e nel rafforzamento del tessuto imprenditoriale nazionale impegnato in tale settore. Elaborare, in definitiva, una politica industriale della e per la logistica.

LA TUTELA DEL MADE IN ITALY

«In Italia non è diffusa la concezione

che il trasporto generi valore aggiunto,
e di tale mancanza ne hanno tratto giovamento
grandi operatori esteri.
È necessario un cambio di mentalità,
tutelare l’azienda italiana
che produce trasporto»


Eppure, i giovani non vogliono lavorare nella logistica. Cosa si può fare e chi lo dovrebbe fare?
La logistica si porta dietro un retaggio culturale negativo, fare l’autotrasportatore è visto come un impiego non altamente specializzato e non professionalizzante, anche pericoloso. Stiamo cercando di invertire tale percezione attraverso azioni concrete quali, per esempio, la campagna di formazione Guidiamo Sicuro, dell’Albo degli Autotrasportatori del MIT e coordinata da RAM, con l’obiettivo di accrescere le competenze e diffondere tra i conducenti dei mezzi pesanti le migliori tecniche di guida. L’investimento è pari a 5 milioni di euro e saranno 1.900 i primi conducenti ad accedere alla fase di formazione teorica e poi alla prova pratica. Accanto alla formazione, come accennato, siamo attenti alle condizioni di lavoro degli autotrasportatori e alla loro sicurezza, anche attraverso la realizzazione di aree di sosta sicure. Ancora, gestiamo come RAM gli incentivi per il rinnovo del parco circolante dei veicoli pesanti e commerciali nell’ottica di favorire una maggiore sostenibilità ambientale del trasporto stradale. Abbiamo proposto, in termini di sicurezza dei mezzi, l’adozione di un grande programma nazionale teso a fornire incentivi per il retrofitting di sistemi ADAS sulle flotte commerciali. Insomma, stiamo cercando di puntare sui driver della sostenibilità, sicurezza, formazione, digitalizzazione e innovazione tecnologica del settore, al fine di colmare quel gap di fabbisogno stimato di 15.000 autisti per i prossimi anni.

RAM sta lavorando anche a un piano per incrementare le aree di sosta sicure per gli autisti. A che punto è il progetto?
RAM è implementing body del MIT/Comitato centrale dell’Albo dell’autotrasporto nel progetto Pass4core-it cofinanziato da fondi Cef-t con un budget totale di 27,5 milioni di euro. Il progetto nasce dell’esigenza di migliorare le condizioni di lavoro degli autisti impiegati in servizi “overnight”. Gli interventi infrastrutturali già in atto prevedono la creazione e l’upgrading di circa 1.475 parcheggi per mezzi pesanti, riqualificando 13 aree dedicate a questo scopo e per le quali verrà ottenuta la certificazione di “Safe and Secure Truck Park” secondo gli standard europei.

E se incentivassimo l’ingresso delle donne nel mondo della logistica?
Il mondo della logistica, purtroppo è ritenuto un comparto maschile, ma non è così. Molte donne sono già presenti nel settore, si occupano degli aspetti più manageriali e organizzativi. Le donne sono già il cuore e la mente della logistica, ma mi piacerebbe vederne di più al volante di autocarri, al timone di traghetti e in cabina di treni.

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