Se è vero che l’e-commerce di prodotto in Italia nel 2020 crescerà del 30%, Amazon ha sicuramente fatto molto meglio. Dati nazionali non ce ne sono, ma a livello mondiale nel trimestre di fuoco di quest’anno (il secondo) ha realizzato i profitti più alti dei suoi 26 anni di vita: 5,2 miliardi di dollari contro i 2,6 dello stesso periodo del 2019: il doppio tondo tondo. E nel terzo trimestre li ha portati a 6,3 contro 2,13. Come dire: piove sul bagnato, dal momento che in Italia già lo scorso anno la società di Jeff Bezos ha fatturato 4,5 miliardi e, alla faccia del lockwood, non si è fermata neppure un momento, assumendo 1.600 persone e investendo altri 140 milioni per aprire altri due centri di distribuzione in Veneto (a Castelguglielmo) e nel Lazio (a Colleferro).
In realtà, a inizio pandemia, anche Amazon ha dovuto rallentare, da una parte per le misure di sicurezza per i dipendenti (in particolare il distanziamento nei magazzini), dall’altra per riorganizzare la catena di distribuzione in modo da fronteggiare l’impennata della domanda di acquisti online. Problemi risolti rapidamente con un incentivo di due euro l’ora ai dipendenti di Stati Uniti, Canada ed Europa e una selezione degli ordini (solo i beni di prima necessità) da evadere nella fase più calda, quando i corrieri erano entrati in crisi per l’eccesso di domanda.
Sarà «anche, ma non solo» per questo che Amazon ha cominciato a cercare pure in Italia nuove aziende di trasporto per movimentare le merci che vende, rivolgendosi esplicitamente a «piccole e medie imprese» dotate di veicoli che vanno dai furgoni agli autocarri fino a 13,5 metri furgonati o centinati. Per loro ha aperto e pubblicizzato una piattaforma online Relay 4 Carrier, alla quale basta registrarsi (sono richieste licenza di trasporto comunitaria, copertura assicurativa e partita Iva) per visualizzare i viaggi nazionali ed europei e trovare il carico, ricevendo supporto tecnologico per l’azienda e app dedicata per lo smartphone dell’autista, attraverso il quale ottimizzare tempi di sosta e di viaggio. E, soprattutto, promettendo pagamenti puntuali: 30 o 60 giorni a seconda del contratto.
Amazon, poi, cerca fornitori di servizi di trasporto anche tra i propri dipendenti, promettendo profitti tra i 60 mila e i 140 mila euro, offrendo loro 15 mila euro e tre mesi di stipendio per l’avviamento dell’impresa e fornendo, oltre agli ordini di consegna, servizi di vario tipo: noleggio dei veicoli (anche elettrici, grazie a un ordine a Mercedes-Benz di 1.200 e-Sprinter e 600 e-Vito in tutta Europa, di cui 100 destinati al mercato italiano), copertura assicurativa, strumentazione per le consegne, divise per gli autisti, sistema per la gestione delle buste paga, assistenza legale, contabile e fiscale, supporto nella selezione degli autisti e molto altro.
«Anche, ma non solo», perché quella di affidarsi a fornitori controllati direttamente sembra essere una strategia che Amazon ha impostato da anni, lanciando nel 2018 negli Stati Uniti il programma Delivery service partner, identico a quello offerto da poche settimane ai dipendenti italiani ed esportato da allora anche in Canada, Spagna e Germania, che ha portato al reclutamento di 1.300 imprese di autotrasporto per 85 mila posti di lavoro. Tant’è che è sempre più frequente incrociare sulle autostrade europee semirimorchi con la livrea bianca (azzurra per Prime) con la scritta amazon.com e la freccia che curva verso l’altro.
Evidentemente la pandemia ha dato la spinta a portare anche in Italia queste iniziative. Già da settembre sono stati visti circolare in Sicilia alcuni furgoni con livrea Amazon. Nulla di ufficiale, ma sembra che l’esperimento riguardi sei autotrasportatori a cui sono stati forniti in leasing fino a 40 veicoli ciascuno. Non c’è che dire, quando gli Americani decidono di conquistare l’Italia, cominciano sempre da uno sbarco in Sicilia.