L’autotrasporto è un’attività consentita anche durante il lockdown. Ma se la produzione del cliente è bloccata, anche il camionista non lavora. Metalmeccanica, siderurgia, tessile, edilizia, mobili: tutto fermo – con qualche eccezione – per ordine del governo. E fermi sono anche i loro autotrasportatori, non per ordine del governo, ma per mancanza di commesse. È nel mondo delle filiere ferme che si consuma il dramma silenzioso dei padroncini. Perché le imprese più strutturate, con clienti diversificati, in qualche modo resistono: se qualche committente è fermo, qualche altro in attività garantisce un reddito di sopravvivenza. Agli altri non resta che fare cassa integrazione e aspettare gli aiuti del governo. Doveva finire prima di Pasqua, ma il nuovo lockdown del governo ha prolungato la Passione dell’autotrasporto fino al 4 maggio.
BISARCHE A ZERO
Ma non sono solo i padroncini a soffrire. Anche gli specializzati, con i veicoli adatti solo a trasporti specifici. Come i bisarchisti, un migliaio in tutta Italia, al servizio di un comparto industriale che vale il 6% del PIL, comprese le 2 mila aziende di componentistica auto che esportano per 5 miliardi di euro. FCA ha fermato i suoi sei stabilimenti (poco meno di un milione di veicoli l’anno) il 16 marzo, una settimana prima del lockdown. Ma tre giorni prima avevano già chiuso i battenti i concessionari. «Non abbiamo alternative», spiega rassegnato Angelo, azienda con sette bisarche a Piedimonte San Germano, di fronte allo stabilimento FCA di Cassino. «Abbiamo fatto ricorso alla cassa integrazione e aspettiamo».
L’unico spiraglio per Angelo e tutti i bisarchisti è l’accordo firmato da FCA con i sindacati per le misure antivirus da adottare alla ripresa. Un segnale che le fabbriche sono pronte a ricominciare nel pieno rispetto delle regole: sanificazione, distanziamento, mascherine e guanti, formazione. Allora, forse, la ripartenza non è così lontana.
PER EDILIZIA E SIDERURGIA QUALCHE ECCEZIONE
Anche chi fa trasporto per l’edilizia e la siderurgia piange lacrime amare. Molti cantieri avevano chiuso già a metà marzo per l’impossibilità pratica di rispettare le distanze, sancite da un protocollo siglato da industriali e sindacati. Con il decreto 22 marzo si è fermato tutto, salvo il ponte Morandi, dove si lavora con protezione totale. Poca roba per un settore che fattura 65 miliardi l’anno e movimenta anche quasi 60 milioni di tonnellate di rifiuti speciali l’anno, dando linfa a una filiera solo in parte gestita in proprio dalle aziende edilizie.
Stessa situazione per la siderurgia, settore da oltre 70 miliardi di fatturato per una produzione di 25 milioni di tonnellate di acciaio grezzo. Dopo il lockdown del 23 marzo le fabbriche si sono fermate, tranne quelle di Marcegaglia, Arvedi e dell’ex Ilva, che hanno continuato a produzione ridotta, in quanto «funzionali ad assicurare la continuità delle filiere dei settori di cui all’allegato 1 del DPCM, dei servizi di pubblica utilità e dei servizi essenziali», come ha motivato il Gruppo di Mantova.
Sono eccezioni importanti, in grado di dare respiro non solo a numerose imprese di autotrasporto, ma anche al trasporto ferroviario e a quello eccezionale. Gli operatori di quest’ultimo settore servono anche un’altra filiera bloccata: quella della metallurgia, dal peso notevolissimo soprattutto sull’export. Sui 463 miliardi esportati dall’Italia nel 2018 circa il 52% sono arrivati da meccanica e metallurgia.
ECCEZIONALI E SMARTWORKING
Ma i trasporti eccezionali sono alle prese con un altro nemico invisibile: la burocrazia. Il lockdown ha ridotto di due terzi l’attività per mancanza di forniture da trasportare. Ma anche quel terzo rimanente è bloccato da una diatriba sull’applicazione della proroga dei permessi prevista dal decreto Cura Italia fino al 15 giugno, ma che né Anas, né le società autostradali riconoscono in assenza di un’interpretazione autentica del ministero dei Trasporti, ribadendo che i rinnovi sono garantiti (a richiesta) dal servizio online.
«Il problema – lamenta Sandra Forzoni, segretario generale dell’Aite – è che il servizio online funziona solo in poche zone. In più alcuni uffici sono chiusi per l’emergenza coronavirus e le nostre aziende devono chiedere i rinnovi con il cartaceo e farlo arrivare con il corriere. Ma anche il corriere spesso o è sovraccarico o non lavora per il coronavirus. E noi stiamo fermi».
IL FASHION E LE MASCHERINE
La filiera del tessile è stata tra le più pronte a trovare spazio per continuare a lavorare. Nel settore operano quasi 14 mila imprese con un centinaio di stabilimenti per una produzione che supera i 20 miliardi. Di fronte alla carenza di mascherine (la cui realizzazione è migrata da anni nel Far East per il basso valore del prodotto), molte aziende hanno riconvertito la produzione. Hanno cominciato in Puglia, dove l’Apulia stretch, azienda che produce stoffe per materassi, ha preparato un tessuto speciale per realizzare mascherine protettive, seguendo le istruzioni dell’Istituto superiore di sanità. Subito si sono aggregate altre imprese locali di abbigliamento. Con la nomina del commissario straordinario Domenico Arcuri la produzione ha preso consistenza tramite un consorzio di aziende nazionali, a cominciare dalla Miroglio di Alba, decisa a mettere da parte l’alta moda per puntare sulla sanità. Da lì è stata una valanga: Geox, Gucci, Prada, Valentino, Moschino, Calzedonia, tutti a mollare il fashion per produrre camici e mascherine.
Gli autotrasportatori in parte si sono adeguati alla riconversione, anche se fino a metà marzo hanno continuato a distribuire le scorte. Dall’11, poi, con la chiusura delle attività commerciali e il divieto di uscire di casa per «futili motivi», i brand del fashion hanno spostato le vendite online. E alla logistica delle boutique si è sostituita quella di internet, soprattutto per la produzione straniera. Un giro d’orizzonte della rivista Grazia ha rivelato che a fine marzo, la spagnola Zara, il colosso svedese del low cost H&M, il marchio spagnolo Mango, il tedesco Zalando hanno confermato di proseguire la loro attività, mentre Amazon ha deciso di privilegiare – in Italia e in Francia – i beni di prima necessità, ma senza rinunciare a distribuire i prodotti stoccati all’estero.
Ma anche la logistica di internet ha bisogno di autotrasporto e – anche se l’ultimo miglio è affidato ai corrieri – per portare la merce ai centri di distribuzione, il camion uno spazio se lo è ritagliato, tanto più se l’operatore si muoveva già prima nello stesso settore. Tant’è che il calo dell’attività nel trasporto di fashion è stimato intorno al 50%.
FERMI I MOBILI E PURE I TRASLOCHI
Chi sta peggio sono i trasportatori di mobili. L’anno scorso la produzione del comparto era salita a quasi 22 miliardi, per oltre un terzo realizzato in export. Ora, con le fabbriche bloccate e i negozi di arredo chiusi, è tutto fermo. Alfonso, monoveicolare specializzato in trasporto cucine, azienda alle falde del Monte Amiata, che è una sorta di distretto del mobile, scuote la testa. Racconta di come ha curato il suo camion per adeguarlo a un carico di mobili: rifiniture con ovatta pressata contro l’umidità, materiali antisdrucciolo sul pavimento e così via. Se non trasporta mobili, può caricare altro materiale purché in scatoloni di cartone. Ma non trova nulla. Non gli resta che aspettare i 600 euro del governo. «Non ci pago neanche i contributi», osserva desolato. E i 25 mila euro di finanziamento? «Mica sono a fondo perduto. È un prestito che prima o poi bisogna restituire. Ma se non c’è lavoro come si fa a restituirli?».
SOLIDARIETÀ
AIUTA IL TRASPORTATOR CHE T’AIUTA
I «grazie» rivolti all’autotrasporto sono arrivati da più parti. Qualcuno ha fatto anche qualcosa di più, unendo alle parole anche qualche fatto. Per esempio, MAN Truck & Bus Italia e il Gruppo A4 Holding (gestore delle A4 Brescia-Padova e A31 Valdastico) hanno deciso di offrire ai trasportatori in sosta o in transito presso l’Autoparco Brescia Est la possibilità di usufruire gratuitamente di una doccia calda e di un caffè recandosi all’Infopoint della struttura e richiedendo la necessaria tessera magnetica. In Germania, UTA (carte di servizio) e DocStop (organizzazione per la cura dei conducenti) aiutano gli autisti ad accedere gratuitamente a servizi igienici e docce con la campagna SaniStop. Poiché molte aree di sosta tedesche hanno limitato l’accesso a bagni e strutture sanitarie, stazioni di servizio, distributori di carburante e altre aziende forniscono tutti i giorni in 150 punti del paese l’accesso a servizi igienici e docce.
Infine, il Consorzio autostrade siciliane ha sospeso il pedaggio sulle infrastrutture isolane a tutti gli utenti, compresi gli autotrasportatori.