«Credo negli esseri umani che hanno il coraggio di essere umani». Il testo di una canzone, ripresa da uno spot televisivo molto trasmesso in queste settimane di reclusione, andrebbe applicato agli autisti di camion. Invece, mai come in questo frangente si assiste, al riguardo, a un inaccettabile strabismo. Nel senso che, mai come in questo momento, il coro di ringraziamenti verbali per questa categoria è unanime, toccando dal papa in giù e contemplando, per chi non lo ricordasse, anche il presidente del Consiglio e la ministra dei Trasporti. Poi, però, all’atto pratico questa categoria improvvisamente riscoperta per il ruolo essenziale che svolge nel garantire una sopravvivenza «a chi resta a casa» assicurando loro cibo e farmaci, non si vede riconosciuto un analogo diritto di sopravvivenza. Marco Mengoni – l’autore della canzone citata – l’avrebbe scritta così: «Credo nel diritto alla sopravvivenza di chi garantisce l’altrui sopravvivenza».
«Credo nel diritto alla sopravvivenza di chi garantisce l’altrui sopravvivenza»
Ci sono segnali che a volta questo credo al quadrato si perda per strada. Non per cattiva volontà, ma per difficoltà a ragionare per filiere, per anelli concatenati, un po’ come avviene nella logistica. Perché così facendo si scoprirebbe che, chiudendo i ristoranti e quindi i servizi igienici al loro interno, si finisce per privare una fetta di autisti in viaggio di quelle minime garanzie di normalità a cui c’è bisogno di aggrapparsi, a maggior ragione in questo frangente. «Vabbè, non ci si sarà pensato», si potrebbe obiettare. E sarà anche vero. Però, proprio per colmare questa lacuna noi – come Uomini e Trasporti – abbiamo pensato di trovare soluzioni sul campo. Così, già a partire dal decreto dell’8 marzo, abbiamo contattato un lungo elenco di trattorie per sapere se, nei giorni a seguire, avessero svolto un servizio di consegna dei pasti in quel particolare domicilio che è la cabina di un camion. E in molti ci hanno risposto affermativamente. Poi, ad allungare la lista ci hanno pensato anche gli autisti, giacché strada facendo si imbattevano in un qualche locale con il servizio citato e di conseguenza ce lo segnalavano.
La pretesa equiparazione tra domicilio e cabina
Qualche tempo dopo, però, ci arriva la segnalazione di qualche titolare di trattoria che riferisce di aver ricevuto una visita da parte della polizia municipale, che li informava dell’impossibilità di poter svolgere quel tipo di servizio, di consegnare cioè pasti prenotati via mail o via telefono direttamente all’autista in attesa presso la sua cabina. Per una ragione squisitamente tecno-giuridica: una cabina di un camion non può essere equiparata, nella logica del diritto, a un domicilio. Qualche trattoria, addirittura, su questa base ha anche subito una sanzione di 400 euro. E di questi tempi multe di tale importo per esercizi di ridotte dimensioni fanno molto male. Ma allora come si può mettere d’accordo il rispetto delle normative con il sacrosanto diritto degli autisti in sosta di avere un pasto caldo?
Evitare gli assembramenti: la consegna in cabina lo garantisce
Da un punto di vista prettamente giuridico, in realtà, gli agenti della municipale dicono il vero: cabina e domicilio non sono la stessa cosa. Ma se si guarda invece a ciò a cui mirava il decreto che ha disposto la chiusura delle trattorie, prevedendo l’eccezione della consegna a domicilio, le cose stanno diversamente. Perché in quel caso la richiesta di consegnare a domicilio (piuttosto che d’asporto) serviva a evitare che fuori dal locale si creassero pericolosi assembramenti. Ma se uno, dieci o anche quaranta autisti rimangono tutti all’interno della propria cabina ad attendere la consegna del pasto, il rischio assembramenti diventa inesistente. Anzi, conservare questa opzione di ristoro anche un domani, quando cioè le trattorie riapriranno, ma non potranno ugualmente mettere intorno a un tavolo troppe persone, la consegna in cabina garantirebbe il rispetto di quella distanza interpersonale che abbiamo imparato a conoscere come strumento di lotta al virus.
Alla ricerca di una soluzione: scriviamo al ministero insieme alla FAI
Tutte considerazioni che non abbiamo tenute per noi. Prima le abbiamo condivise con qualche rappresentante di Fai-Conftrasporto, trovando subito attenzione e reazione immediate. Anche per loro, come ha scritto Paolo Uggè sul sito dell’associazione, «multare delle piccole trattorie che preparano i pasti per i conducenti di mezzi perché la cabina non è un luogo idoneo» è letteralmente «un assurdo». Poi, sempre insieme alla Fai, abbiamo pensato di scrivere al capo di gabinetto del ministero dei Trasporti (e per conoscenza a quelli dei ministeri dell’Interno e della Salute), per raccontargli questa vicenda e per chiedergli di trovare una soluzione. Anzi, ci siamo permessi anche di fornire dei suggerimenti. Si potrebbe, per esempio, fornire un’interpretazione estensiva di quel termine «domicilio», fino a ricomprendere anche la cabina di un camion. Oppure, sarebbe agevole seguire l’esempio della Francia, che ha concesso ai ristoranti attivi nei servizi di ristoro all’autotrasporto una deroga rispetto alla chiusura disposta per gli altri ristoranti.
Proposte, certo, più o meno plausibili. L’importante è che, a prescindere dal come lo si faccia, non si privi questi paladini della nostra normalità di un briciolo di normalità quotidiana. Sarebbe un modo concreto per tradurre in fatti i tanti “grazie“ pronunciati a parole.