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Milano impone dal luglio 2024 i sensori ai camion anti-angolo cieco: polemiche a go-go

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La cronaca a volte eccita polemiche sdrucciole. A Milano negli ultimi sei mesi ci sono stati quattro incidenti in cui hanno perso la vita ciclisti investiti da camion. L’ultimo caso proprio nei giorni scorsi in cui la vittima è stato un ciclista di 54 anni investito da un autocarro. A quel punto il consiglio comunale del capoluogo lombardo ha approvato, esattamente giovedì della scorsa settimana, un ordine del giorno che la giunta dovrà ora recepire, in cui si chiede all’unanimità di vietare l’ingresso all’interno dell’Area B della città ai veicoli pesanti sprovvisti da sensori anti-angolo cieco a partire dal luglio 2024. Il divieto non si applicherebbe soltanto in una fascia oraria notturna, vale a dire dalle 22 alle 6. 

Le associazioni dei ciclisti (compresa Legambiente) hanno provato ad alzare la posta sostenendo che le cronache luttuose non consentono di andare così per le lunghe. Da qui la proposta di partire con il divieto già dal luglio 2023. 

L’iniziativa può essere giustificabile, ma va comunque valutata nel complesso del contesto normativo. E qui vanno mossi una serie di rilievi. 

7 luglio 2024: scatta l’obbligo a livello europeo

La prima riguarda il fatto che esiste già un regolamento comunitario che prevede l’installazione obbligatoria sui veicoli di prima immatricolazione, a partire dalle 3,5 tonnellate, di sistemi Adas in grado proprio di cancellare gli angoli ciechi. In realtà si tratta di una normativa più ampia (la General Safety Regulation) concepita per ridurre proprio gli incidenti che coinvolgono gli utenti della strada più vulnerabili. E che, come è stato anche ricordato da Renault Trucks nel corso di un incontro avvenuto nel corso del Samoter, sarà applicata anche ai veicoli cava-cantiere. Come detto, questa normativa copre un perimetro più ampio, ma si applica ai veicoli di prima immatricolazione. Il Comune di Milano, invece, richiede i sensori anti angolo-cieco per tutti i veicoli in circolazione. 

Il rapporto con il codice della strada

L’altro problema riguarda il contesto nazionale, perché la disposizione milanese va oltre il codice della strada e quindi potrebbe essere quanto mai probabile che, alla prima infrazione riscontrata, qualcuno sollevi ricorso per far riscontrare il conflitto normativo. Anche perché, a logica, non sarebbe concepibile che una norma di livello comunale prevalga su una di rango nazionale.

Anita: «Evitiamo i divieti che discriminano le imprese»

Le valutazioni delle associazioni di categoria dell’autotrasporto tengono in parte conto di questi argomenti. Anita, per esempio, ritiene il divieto in questione fortemente discriminatorio nei confronti delle imprese che, avendo un parco circolante con mezzi sprovvisti di tale sistema di controllo, non potranno circolare all’interno del capoluogo lombardo, rischiando di creare un’inaccettabile limitazione alla circolazione delle merci all’interno di una città che rappresenta il centro del polo industriale e commerciale del Paese.

«La sicurezza stradale è un tema importantissimo – ha dichiarato il presidente uscente Thomas Baumgartner – ma occorre evitare che venga utilizzato strumentalmente per adottare nuovi divieti alla circolazione dei mezzi pesanti, che non fanno altro che penalizzare ulteriormente le aziende». Da qui la richiesta avanzata al Comune di Milano di «convocare al più presto un Tavolo di lavoro con le associazioni delle imprese. La limitazione alla circolazione di una categoria di veicoli non può mai rappresentare una soluzione al problema ma, al contrario, è un forte e preoccupante segnale di un accanimento discriminatorio da parte delle Istituzioni nei confronti dei veicoli pesanti adibiti al trasporto delle merci».

Fai Conftrasporto: «Ognuno faccia la sua parte»

Diverso invece l’approccio di Fai Conftrasporto, che solleva dubbi sul fatto che le regole sulla strada siano rispettate da tutti. «Spesso non si tratta di fatalità – sottolinea il presidente Paolo Uggè, riferendosi ai ricordati incidenti degli ultimi mesi a danno di ciclisti – ma di comportamenti ai quali sarebbe opportuno prestare maggiore attenzione, e (anche) di scelte politiche e amministrative. La filosofia della ciclo-mania senza regole e tutti gli amministratori che l’hanno sostenuta sono i veri responsabili dell’incremento dei decessi di questi utenti della strada».

Una posizione forte, che in parte può suonare provocatoria, ma che mira di fatto a sottolineare che «chi viaggia su un velocipede deve rispettare le regole della sicurezza: casco obbligatorio; stop ai semafori; portare la bici a mano finché si attraversa la strada; niente percorsi in contromano e sui marciapiedi». Detto ciò, il presidente puntualizza che non ha «nulla contro i ciclisti» e ha tutto l’interesse a incrementare l’uso delle due ruote, ma è necessario – aggiunge – «che i percorsi dedicati ai ciclisti non siano fatti tanto per fare. Sono le ciclopedonabili come quelle introdotte senza una logica, come nel caso di Milano, a generare condizioni di insicurezza e il conseguente incremento dei ferimenti e degli incidenti mortali».

Infine, Uggè indica una soluzione normativa, individuandola nel varo delle nuove disposizioni del codice della strada e nell’installazione obbligatoria dei sensori-visori nel cosiddetto angolo cieco dei mezzi pesanti. Come a dire, i ciclisti rispettino le regole, i Comuni facciano le ciclabili come si deve e anche i camionisti faranno il possibile per lavorare sulla prevenzione.

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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