Immaginate un paesino di poco più di 300 abitanti sperduto ai confini del mondo, dove per raggiungerlo c’è solo una strada accidentata, piena di animali selvatici che la attraversano, in cui spesso si manifestano condizioni climatiche avverse. Immaginate che il paese, per rifornirsi di viveri, dipenda dalle sorti di un camionista che guida 28 ore ogni quindici giorni per portare cibo all’unico negozio di alimentari della comunità. Immaginate pure che a un certo punto il camion si rompa nel bel mezzo di una boscaglia sperduta nel nulla, senza possibilità di soccorso immediato e senza poter giungere a destinazione, mettendo a rischio la propria vita e la sopravvivenza stessa degli abitanti del paese. Sembra la trama di un film apocalittico e invece è realmente accaduto in Australia, esattamente nella remota comunità di Tjuntjuntjara. I fatti risalgono al 2018, ma solo di recente alcune testate internazionali hanno rilanciato questa notizia che sta diventando virale.
Il protagonista di questa storia si chiama Kym Mozol, camionista che da diversi anni effettua l’unica consegna di generi alimentari all’unico negozio di una piccola comunità, tornando ogni quindici giorni per riempire gli scaffali, percorrendo 650 chilometri da Ceduna (sulla penisola di Eyre nell’Australia meridionale) a Tjuntjuntjara (nella regione di Karlgoorlie, nell’Australia occidentale). Il percorso per giungere a destinazione è particolarmente impegnativo. La strada è scassata e isolata, spesso può capitare di sostituire le gomme dei veicoli e bisogna stare attenti ad animali come canguri e cammelli che attraversano i sentieri.
Ma la cosa singolare è che questo paesino sperduto, Tjuntjuntjara, ha una popolazione di sole 300 anime e dipende proprio da Kym Mozol per rifornirsi ogni due settimane. Senza gli sforzi del signor Mozol, in effetti, la vita a Tjuntjuntjara potrebbe fermarsi. E ha rischiato seriamente di farlo proprio cinque anni fa, quando il camion di Mozol è rimasto inaspettatamente bloccato in una distesa di fango denso. Il veicolo si è impantanato così tanto che nemmeno un altro camion da 400 cavalli è riuscito a tirarlo fuori. Secondo quanto riferiscono alcune fonti, il camionista sarebbe rimasto bloccato per otto settimane.
Non sappiamo da chi sia partita la richiesta di aiuto, se dal camionista stesso oppure dai locali di Tjuntjuntjara, evidentemente preoccupati per il mancato arrivo del loro unico fornitore. Sta di fatto che a un certo punto, appurata la situazione, alcuni di loro si sono mobilitati, arrivando sul punto dell’incidente con una serie di rimorchi attaccati al retro delle loro auto.
Una volta giunti sul posto, hanno caricato sui rimorchi le scorte contenute nel camion (scatolette di tonno, acqua in bottiglia, lattine di verdure, scatole di succhi, cereali e uova) e hanno cercato più volte di liberare il veicolo impantanato. A quanto pare ci sarebbero voluti quasi due mesi, otto settimane appunto, prima che il fango si asciugasse e un D6 Dozer sollevasse il camion, liberandolo dal fango.
Intervistato ai microfoni di ABC dopo questa vicenda indubbiamente segnante, il camionista ha dichiarato di continuare a svolgere il suo lavoro con immutata passione.
«Non credo che molti sarebbero felici [di lavorare per questa tratta impegnativa, ndr]. Sono pochissimi quelli che ci si avventurano. Ma se ti piace l’entroterra, tutto ciò fa solo parte del lavoro quotidiano». Eppure, nonostante l’episodio, il signor Mozol ha detto che il viaggio quindicinale verso Tjuntjuntjara ha i suoi vantaggi, in particolare quando la pioggia fa crescere i fiori in un paesaggio altrimenti arido. «Il deserto pietroso di Sturt attira la tua attenzione quando è in fiore», ha detto, spiegando di trascorrere maggior parte del viaggio di ritorno di 28 ore contemplando mentalmente la sua lista di cose da fare. Con troppe oscillazioni in cabina a causa della strada impervia, è difficile infatti ascoltare la musica o i podcast. «Parlo solo con me stesso – ha detto ridendo – Ci sono molte cose a cui pensare».