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Il bus di Mestre, il guard rail e la manutenzione delle infrastrutture: come gestirla senza creare code?

La procura di Venezia ha disposto una perizia sul guard rail del cavalcavia da cui, il 3 ottobre, è caduto un bus, provocando la morte di 21 persone. Dieci anni fa un altro pullman venne giù da un ponte lungo la A16 e qualche anno dopo il procuratore di Avellino sequestrò tutti i guard rail "gemelli" presenti sulla rete perché vecchi e insicuri. E indirettamente provocò lunghe code sulla A14. Il viceministro Rixi sostiene che il 55% delle opere infrastrutturali del paese risale agli anni 70. Bisognerebbe ammodernarle prima che “scadano”, ma senza creare code. In che modo? Le risposte della tecnologia tra navigatori predittivi e intelligenza artificiale

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La sicurezza stradale è direttamente proporzionale al livello di manutenzione delle infrastrutture. Questa evidenza viene confermata – semmai fosse necessario – anche dall’incidente accaduto a Mestre lo scorso 3 ottobre, dove la caduta di un autobus da un cavalcavia ha provocato la morte di 21 persone. In realtà, allo stato attuale non si sa bene cosa abbia determinato la tragedia, anche se le ipotesi più accreditate parlano di un malore dell’autista del veicolo pesante o di una manovra azzardata. Ma a finire nel mirino degli inquirenti c’è anche il guardrail, vale a dire la barriera di protezione che evidentemente è stata scarsamente protettiva, visto che l’autobus l’ha piegata come fosse di burro. In tanti, peraltro, hanno calcolato che si trovava lì da circa 60 anni.
Anche se il procuratore capo di Venezia, Bruno Cerchi, incaricato delle indagini, tende a frenare e puntualizza che allo stato attuale «non abbiamo alcun elemento per trarre conclusioni sul guardrail». E a questo scopo – aggiunge – «ci serve una perizia». Il punto incriminato è quel metro e mezzo o poco più lasciato aperto lungo il guard rail non per dimenticanza, ma in quanto funzionante come varco di servizio. E quindi, sempre usando parole del procuratore, per inquadrare al meglio la vicenda «servono conoscenze tecniche, non giuridiche». 

Autobus in caduta da un ponte: corsi e ricorsi

La vicenda, con una qualche approssimazione, ricorda un’altra tragedia, avvenuta poco più di dieci anni fa – per la precisione alla fine di luglio del 2013 – quando un pullman uscì di strada lungo l’autostrada A16. Anche in quel caso l’incidente avvenne in corrispondenza di un cavalcavia e anche lì, dopo l’impatto con il guard rail e il suo sfondamento, il veicolo volò nel vuoto: il successivo impatto a terra provocò il decesso di 40 persone. 

Lì, in più, ci fu una coda complicata, data dal fatto che il procuratore di Avellino che gestiva le indagini alla fine del 2019 giudicò carenti sotto il profilo della sicurezza per l’incolumità pubblica non soltanto il guard rail che proteggeva il viadotto teatro dell’incidente, ma anche tutti quelli presenti sulla rete autostradale italiana realizzati dalla stessa società. Complessivamente furono nove e molti si trovavano lungo la A14, un’autostrada che da quel momento iniziò a vivere un autentico calvario. In quanto i tratti stradali interessati dai sequestri subivano un restringimento di corsia che, in particolare nel corso della stagione estiva, determinava code infinite per un tratto tra Marche e Abruzzo di quasi cento chilometri. 
Per carità, non è detto che adesso accada la stessa cosa, ma ancora una volta facciamo i conti con lo stato di conservazione delle opere. Tema che il nostro paese ha scoperto praticamente dopo la caduta del ponte Morandi, quando cioè prese consapevolezza che le infrastrutture non vanno soltanto realizzate, ma anche manutenute. E se possibile la situazione è ancora peggiore per quelle costruite con materiali, come il cemento armato che, per mutuare un’espressione utilizzata dal viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Edoardo Rixi, «sono a scadenza come lo yogurt».

Di fronte a un bivio: di qua le opere ammalorate, di là i collassi stradali

La questione, vista da lontano, appare come una sorta di scala dove, a ogni gradino, corrisponde un problema. Partiamo con il primo, che in realtà è una presa di coscienza della situazione, avvenuta all’indomani del crollo del ponte, quando il ministero dei Trasporti ha approvato delle norme che prevedono un’ispezione frequente dei ponti e una loro manutenzione, funzionale a individuare ed eventualmente classificare i singoli rischi riferiti a un’infrastruttura. 

Sul secondo gradino c’è la questione della raccolta e la lettura dei dati. Nel senso che se l’ispezione diventa obbligatoria i relativi documenti che ne conseguono vanno raccolti in un data base da quali poi poterli leggere, estrapolare e, alla bisogna, assumere delle decisioni urgenti. Facile a dirsi, perché poi all’atto pratico, in questo mega archivio delle opere pubbliche – definito Ainop – è confluita una massa di materiali abnorme, frutto di quasi 300 mila ispezioni, riferite a più di 200 mila opere e di circa 16 mila ponti stradali. E si tratta di numeri in provvisori, in corso di aggiornamento.

E saliamo al terzo gradino. Per inquadrarlo con estrema sintesi è molto efficace una percentuale riferita dallo stesso viceministro Rixi: ««Il 55% delle opere infrastrutturali è stato realizzato negli anni 70 e quindi va modernizzato». Nel senso che poco più di un’opera su due è molto vicina alla scadenza o, in qualche caso, è già scaduta. Soltanto che passare da questa consapevolezza alla definizione di un paio di azione è tutt’altro che agevole. Rixi d’altra parte è genovese. E ha perfettamente chiara non soltanto la tragedia generata dal crollo del ponte Morandi, ma anche tutti gli impatti sulla circolazione determinati dall’apertura dei cantieri che doveva colmare quella lacuna o ispezionare il resto dei cavalcavia o delle gallerie della Regione. Ha presente le code e i forti rallentamenti imposti alla circolazione e che, per forza di cose, hanno finito per mettere in difficoltà tutte le attività legate alla portualità e alla movimentazione di merci. Ed ecco perché adesso l’imponente problema che si trova ad affrontare riguarda proprio questo dilemma: come si fanno ad aprire tutti i cantieri necessari per ammodernare le opere “in scadenza” senza provocare un collasso della circolazione di merci e persone? Il problema – ha chiarito lo stesso viceministro senza troppi giri di parole – è che «con i camion fermi il nostro autotrasporto non sarebbe più in condizione di lavorare. E noi non possiamo lasciare questo settore in mano a operatori che potrebbero avere interessi diversi dai nostri. In questo senso la lezione fornita dal settore dell’energia è eloquente».

con i camion fermi il nostro autotrasporto non sarebbe più in condizione di lavorare. E noi non possiamo lasciare questo settore in mano a operatori che potrebbero avere interessi diversi dai nostri. In questo senso la lezione fornita dal settore dell’energia è eloquente

Edoardo Rixi, viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti


Le possibili soluzioni fornite dalla tecnologia: i navigatori predittivi…

A chi chiedere un aiuto? La risposta più accreditata al momento attuale è: «alla tecnologia». Un primo, timido aiuto in tal senso, secondo Rixi, potrebbe arrivare dai navigatori predittivi, in grado di calcolare l’insorgere di una coda prima che si formi, basandosi sui flussi di traffico, ma mettendo in condizione chi è in viaggio lungo quella strada di trovare per tempo un’alternativa. Lo ha definito un aiuto importante, con buona probabilità incentivabile, ma ovviamente non esaustivo.

… e l’intelligenza artificiale (buona)

Un altro possibile aiuto, non tanto nella gestione del traffico quando dell’analisi dello stato delle infrastrutture, lo ha messo in mostra Anas al XXVII Congresso Mondiale della Strada in corso fino a oggi a Praga. Anas, d’altre parte, ha un piccolo record a cui far fronte: gestisce la bellezza di più di 32 mila chilometri di strade e, a livello europeo, non esiste un altro concessionario con un onere così imponente. Il suo presidente, Edoardo Valente, ha riferito che la società «prodotto un position paper dedicato alla sicurezza stradale contenente alcune misure operative per incrementare la sicurezza degli utenti della strada». Tutto materiale che si va a sommare a quello delle ispezioni.

Ma l’aspetto tecnologico emerso a Praga riguarda un programma, denominato Structural Health Monitoring, che serve proprio a monitorare ponti e viadotti e prevede un sistema integrato di censimento, classificazione e gestione dei rischi e di monitoraggio dinamico delle infrastrutture. Il programma appare innovativo non soltanto perché dialoga con la banca dati ricordata di ponti e viadotti, ma soprattutto perché raccoglie le informazioni sullo stato delle opere facendo ricorso ad algoritmi di Intelligenza Artificiale, in grado di individuare dei processi di manutenzione predittiva che consentono di intervenire in modo tempestivo e mirato dove necessario e prima ovviamente che si verifichino incidenti.

In pratica, il sistema è in grado di effettuare un monitoraggio sia statico che dinamico, rilevando spostamenti, inclinazioni, vibrazioni, accelerazioni, frequenze e molto altro. I dati rilevati dai sensori vengono trasmessi a distanza tramite comunicazione LoRaWAN a lungo raggio e a bassa potenza, mettendo a disposizione in tempo reale la visualizzazione dei dati e la loro analisi.

E poi qualcuno dice che l’intelligenza artificiale fa soltanto male…

Redazione
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La redazione di Uomini e Trasporti

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