È da osservare con attenzione lo sciopero dei trasporti che parte oggi in Francia. Si asterranno dal lavoro, con varie forme e modalità, categorie diverse, accomunate fondamentalmente dal lavorare su mezzi di trasporto. Certo la fetta prioritaria di questo popolo, costituito da 790 mila persone, è costituita dagli autisti di camion, ma ci sono anche i conducenti di autobus, i traslocatori, gli addetti alla logistica di Amazon, i portavalori e persino chi guida le ambulanze. Unico il mezzo di trasporto, unica la recriminazione, peraltro assolutamente generalizzabile a buona parte del mondo occidentale: l’aumento indiscriminato dell’inflazione sta erodendo il potere di acquisto di molti lavoratori, fino a spingere oltre la soglia di povertà chi oggi viaggia sul crinale.
Ed ecco perché tutte le federazioni sindacali dei trasporti (CGT Transports, UF Route FGTE CFDT, FO Transports, CFTC Transports e SNATT CFE-CGC) hanno indetto per oggi 27 giugno uno sciopero per ottenere aumenti salariali per tutti coloro che lavorano per strada. «La crisi sanitaria – si legge in un comunicato – ha messo in evidenza l’importanza delle attività di trasporto, che sono state addirittura dichiarate di pubblica utilità dal Governo. Ma questo riconoscimento non si è tradotto in trattative sui salari o sulle condizioni di lavoro».
Ma il problema, come detto, è l’inflazione. Perché nel settore del trasporto merci su strada, per esempio, lo scorso febbraio era stato raggiunto un accordo di rivalutazione delle tabelle salariali del 6%. Ma oggi i sindacati sostengono che quell’aumento, con l’inflazione che a maggio si è spinta fino al 5,2%, «si è sciolto come neve al sole». Ragion per cui bisogna rimettere mano alle trattative. In che modo è presto detto: riattivando quelli che in Francia si chiamano «negoziazioni annuali obbligatorie (NAO)», vale a dire trattative avviate dal datore di lavoro, ma che di fatto costituiscono l’occasione per affrontare in maniera collettiva alcuni temi, quali appunto i salari, l’orario di lavoro, la parità di genere, la formazione professionale. Quindi, senza rimetterli in una trattativa solitaria, ma gestendo il tutto su un piano collettivo.
«È un colpo di avvertimento che vogliamo inviare ai datori di lavoro, ma anche al governo e all’opinione pubblica. Eravamo considerati dipendenti essenziali durante il Covid, ma oggi siamo quelli dimenticati. Se questa giornata di azione non basta, a ottobre replicheremo in modo più duro», avverte Patrick Blaise della FGTE Route CFDT, primo sindacato di settore.
In effetti stamattina molti lavoratori del trasporto hanno aderito alla protesta. I blocchi sono iniziati già all’alba, prendendo di mira in particolare una ventina di siti industriali in contesti territoriali diversi, anche se si è cercato di «non disturbare gli automobilisti». Tra quelli più coinvolti ci sono Parigi, Marsiglia, Lione, Bordeaux, Tolosa, Rennes, Nantes, Mille.
Nell’Alta Francia, invece, sono stati posizionati due postazioni di filtraggio all’ingresso di due grandi aree di attività logistiche, una all’uscita da Lille e l’altra vicino ad Arras, causando code di veicoli. A Lille, al casello autostradale in direzione Valenciennes, si sono posizionate una cinquantina persone in giubbotto arancione bloccando l’uscita che porta al centro direzionale di Mélantois. Un presidio analogo è previsto anche vicino al centro logistico Amazon di Metz.
Di fronte a questa minaccia di conflagrazione sociale, il governo per ora tace e cerca di spingere le trattative su un piano privatistico, sottolineando comunque che lo Stato ha già fatto tanto per il settore, come un sostegno finanziario da 400 milioni di euro già stanziato a cui si è aggiunto un taglio dei carburanti di 15 centesimi alla pompa, dedicato specificatamente ai professionisti.
Parliamo di governo genericamente… Al momento attuale, infatti, non esiste ancora – visto le recenti elezioni – un ministro dei Trasporti. E la prospettiva di dover gestire queste tensioni potrebbe indurre in tanti a tenersi a distanza dall’incarico.