Arriva alla seconda tranche l’indagine Trasporto Scelto e stavolta porta all’arresto di sei persone, accusate di associazione a delinquere finalizzata al furto, alla ricettazione e al riciclaggio di veicoli, ma anche alla contraffazione di targhe e documenti che servivano per immettere sul mercato i veicoli rubati. Ma soprattutto ciò che si legge nella carte della polizia di Forlì-Cesena che ha condotto le indagini è che questa attività finiva per alterare la concorrenza sul mercato dell’autotrasporto in Romagna. Cerchiamo di capire in che senso e come questa indagine si colleghi a quella precedente, risalente allo scorso gennaio, terminata con l’arresto di Alfredo Ionetti, di due suoi figli e della sua segretaria.
Alfredo Ionetti, noto anche come Ciccio Leonetti, è un imprenditore reggino di 79 anni, accusato di essere il contabile della cosca Condello di Reggio Calabria, peraltro suo consuocero. Anche se in un’indagine iniziata nel 2006 lo aveva prosciolto, obbligandolo al soggiorno in Romagna. Quando a gennaio la squadra mobile di Forlì, in collaborazione con la Guardia di Finanza, procede all’arresto, gli contesta un’attività di riciclaggio legata alla Sor Nova, azienda di autotrasporti nonché concessionaria Scania per la Calabria, seppure con sede a Cesena, per altro sottoposta a confisca e dunque in regime di amministrazione giudiziaria. In pratica parrebbe che Ionetti incassasse cambiali e assegni provenienti da Calabria e da Sicilia, malgrado fosse in amministrazione giudiziaria. Soldi che transitavano dalle casse sociali e quindi finivano nei suoi beni privati. Tutto ciò ha fatto sorgere sospetti che la società in questione servisse come strumento per riciclare il denaro proveniente dalla cosca Condello.
Fin qui, come detto, la Fase 1 dell’operazione. La Fase 2, invece, va a colpire tutto il sottobosco che lavorava attorno a Ionetti. In pratica, da quanto appurato, lo stesso Ionetti, sfruttando il denaro riciclato, concedeva dei finanziamenti – diciamo così – agevolati che servivano per acquistare semirimorchi a prezzi assolutamente convenienti. Ma la convenienza derivava dal fatto che gli stessi veicoli erano frutto di furti, commessi da complici della stessa organizzazione. Altri figure interne alla banda, poi, provvedevano a fornire le targhe, i numeri di telaio e i documenti di circolazione falsi per poterli vendere. I sei arrestati in questa seconda fase sono proprio coloro che pulivano la refurtiva. Si tratta di Mario Morabito, Salvatore Turiaco, Giovanni Zago e di tre membri della famiglia Frisina (il padre Antonino, con i figli Cinzia e Carmelo), titolare dell’azienda di autotrasporti Cari srl di Mensa Matellica (Ravenna). Manca da capire con chi intrattenesse rapporti Ionetti e se le aziende a cui piazzava i semirimorchi fossero o meno in buona fede, anche perché un qualche vantaggio lo ottenevano se – come sottolineano gli inquirenti – tutta la vicenda aveva creato una distorsione della concorrenza, a danno di tanti imprenditori regolari.
Proprio verso costoro punta l’indice Silvio Faggi, segretario della Fiap, quando si chiede “se i committenti di queste imprese che usufruivano di servizi sotto costo e, soprattutto, al di sotto dei costi minimi di sicurezza che la legge impone, sono esenti da qualsiasi conseguenza” e soprattutto se su di essi “sia stata fatta una verifica”.
Domande legittime soprattutto se si considera come sia cambiato radicalmente il mercato del trasporto romagnolo negli ultimi anni. Se infatti fino a qualche anno fa era gestito da imprese locali che trasportavano prodotti alimentari a temperatura controllata, adesso queste imprese non esistono più, in quanto messe fuori gioco da altre società, che hanno potuto sfruttare proprio tariffe di trasporto più basse che – si può aggiungere ora – spesso erano determinate da opportunità non proprio legali. “Forse, scavando ancora un po’ – auspica il segretario della Fiap – è possibile scoprire molto del marcio che c’è in giro e che sta rendendo questo ambiente sempre più maleodorante”. Si potrebbero effettuare controlli sui versamenti regolari dell’Iva, sui contributi del personale e su tanto altro.
“Certo è che – commenta Faggi – se una impresa ha sede a Cesena riesce piuttosto agevole per l’Ispettorato del Lavoro o per l’INPS disporre un controllo, ma se questa ha sede a mille chilometri di distanza chi la controlla?”.
Per fortuna, però, i controlli in questa fase sembrano aver preso un abbrivio nuovo. Prova ne sia che proprio ieri sempre a Forlì la Guardia di Finanza ha pizzicato un’azienda di autotrasporto con 33 dipendenti che avrebbe omesso di dichiarare 1,9 milioni di euro di ricavi e di pagare l’Iva per 99 mila euro. A quando la prossima?