Siamo in Campania, città metropolitana di Napoli. Trovare aziende di autotrasporto, a queste latitudini è normale. Anzi, le statistiche dicono che questa Regione stia diventando l’autentica capitale del trasporto italiano, perché proprio qui hanno sede molte delle principali aziende del paese. Trovarne qualcuna gestita completamente al femminile, invece, è molto raro. A queste latitudini, ma forse anche ad altre. Noi l’abbiamo scovata in TR Trasporti. A dire il vero l’azienda è stata fondata negli anni Settanta da Vincenzo Romano, ma oggi è guidata da sua figlia Rosa. E il passaggio generazionale, amalgamato con una gestione al femminile proiettata verso l’innovazione, le ha consentito di passare da quattro veicoli a circa 4,5 milioni di fatturato. Insomma, di crescere, anche in modo originale.
In che modo e facendo leva su quali fattori?
«Ho iniziato a fare questa attività nel 1995 – risponde l’imprenditrice – contestualmente all’università. Da allora ho costruito pezzo dopo pezzo tutta l’azienda. Era una necessità perché all’epoca cambiava il modo di pensare e di fare trasporto. E per andare avanti era necessario assecondare il passo dei tempi.
Cosa vuol dire?
Vuol dire modernizzare, partendo dalle cose più ovvie. Ora sembra impossibile, ma alla metà degli anni Novanta per lavorare si usava carta, penna e macchina da scrivere. E quindi l’acquisto del primo computer è stata la prima evoluzione importante, anche perché teneva traccia dei nostri successi: ci aiutava a gestire più dati, ad archiviarli, ad analizzarli, a disporre di uno storico. Abbiamo investito nel primo programma di fatturazione e, subito dopo, nel primo gestionale.
Un momento importante di quel periodo?
Quando mi sono fatta accompagnare in Fiat da mio padre. Lui aveva lavorato in quel mondo e non aveva piacere di rientrarci, anche perché nel frattempo le cose erano cambiate, la domanda di trasporto si indirizzava sempre di più a grandi realtà e lui non era stato in grado di adeguarsi al nuovo corso. Per me ricucire quel rapporto è stato importante perché mi ha dato un know how importante, che mi ha consentito di avvicinarmi con cognizione anche in altri settori, ulteriori rispetto al trasporto di veicoli, che resta comunque centrale nella nostra attività.
Cioè per affiancare altri veicoli alle bisarche?
Sì, per diversificare. E questo è stato un altro momento di innovazione: sono entrata nel trasporto collettame e poi, qualche tempo dopo, ho capito che era necessario gestire anche momenti diversi della catena logistica, sia rispetto alle auto che alle merci. In concreto abbiamo aperto un grande piazzale per le auto, dove cioè, prima di essere spedite, vengono gestite, ritirate, controllate. Rispetto alle merci, invece, abbiamo un magazzino di 1.000 metri quadri accanto al piazzale della nostra sede aziendale a Pollena Trocchia, vicino Napoli.
Quindi, digitalizzare, diversificare. E poi?
E poi, lavorare sulla giusta dimensione, sull’equilibrio. Mi spiego: mio padre aveva quattro veicoli, oggi noi ne abbiamo trenta. Forse me ne servirebbero di più, ma non ritengo sia questa una chiave di crescita. Avere tanti veicoli significa pure costruire una struttura più grande e rigida, che si adatta peggio alle variazioni del mercato. Aziende come la nostra, né grande né piccola, riesce ad adeguarsi meglio.
E quindi, come si cresce?
Cercando altri strumenti di flessibilità. Se mi servono per gestire maggiori volumi di traffico, per esempio, li traggo dai vettori navali: servendo molto le isole maggiori, Sicilia in particolare, imbarchiamo le auto, senza ricorrere a veicoli nostri, senza subire le immobilizzazioni conseguenti. Lo stesso accade per il collettame: i clienti ci mandano i semirimorchi, noi glieli carichiamo e via mare glieli rispediamo. Ho iniziato a lavorare in questo modo sul porto di Napoli una quindicina di anni fa e nel tempo l’attività è cresciuta e oggi assorbe una percentuale crescente del nostro fatturato.
In pratica mi sta dicendo che bisogna spostare le merci più che i veicoli?
Esattamente. Io sono per le brevi percorrenze, per la concentrazione sull’ultimo miglio, per lavorare tramite porti e interporti.
E questo modo di operare qualcuno lo chiama «sostenibilità».
Diciamo che faccio anch’io la mia parte per salvare il pianeta.
Però alla fine uno zoccolo necessario di veicoli bisognerà pure averli.
Un’ulteriore scelta innovativa è stata quella di non comprare più automezzi, ma di noleggiarli. Perché ritengo che il noleggio aiuti a disporre di una struttura di costi chiari, priva di imprevisti, flessibile. Abbiamo iniziato con cinque mezzi, cinque Ford F-MAX a cui dobbiamo soltanto riempire il serbatoio e retribuire gli autisti. Il loro costo chilometrico, quindi, è senza sorprese, perché non va incontro, rispetto ad alcune voci – penso per esempio ai costi assicurativi – alle oscillazioni del mercato. Può sembrare un percorso un po’ folle, ma ci stiamo scommettendo e la società che ce li noleggia, la V Rent, scommette su di noi.
TR Trasporti è un’azienda ad alto tasso di presenza femminile. Anche questa è un’innovazione?
Ho due sorelle che lavorano con me, Domenica e Anna. E in amministrazione ci sono altre collaboratrici, Marina e Serena. Sono convinta che insieme riusciamo a fare squadra più facilmente. Ma in generale ritengo che le donne sul lavoro abbiano spesso una marcia in più.
In che senso?
Sono stacanoviste, determinate, intuitive. E poi non riesco a non avere grande rispetto per loro, perché so che lavorano il doppio, in quanto a ciò che fanno in azienda aggiungono quasi sempre gli impegni della vita familiare.
Per lei è stato difficile conciliare lavoro e famiglia?
Ho cresciuto l’azienda e mio figlio contemporaneamente. La cosa mi è costata un grande sacrificio personale, ma per me era fondamentale che entrambi crescessero in modo corretto. Non mi volevo perdere niente di mio figlio, lo mettevo a letto tutte le sere, creando a questo scopo abitudini e ritagliando orari dedicati. E la stessa dedizione l’ho riservata all’azienda.
Le piacerebbe che figlio e azienda domani si incontrassero, che il primo entrasse nella seconda?
Dario, mio figlio, ha 18 anni. Studia ragioneria e l’anno prossimo si iscriverà a economia. Per adesso non so se ha interesse a portare avanti l’azienda. So però che bisogna fare il lavoro per cui si ha passione. Nel trasporto a maggior ragione, perché è un lavoro complicato, pieno di problemi. E farlo senza passione è difficile. Proprio per questo non gli faccio pressioni: se vuole, bene; altrimenti si troverà qualcun altro interessato a dare continuità all’azienda. Non è importante che lo faccia lui, ma che l’azienda continui a svolgere una funzione sociale, a essere serbatoio di posti di lavoro.
Si rende conto, però, che la TR Trasporti è un’isola femminile in un mare di trasporto coniugato al maschile?
Siamo un paese con una radicata cultura maschilista. Rispetto ad alcuni anni fa parliamo di più di questo problema, ma non è cambiato molto.
Per quale ragione?
Gli uomini sono allevati dalle mamme. E purtroppo bisogna ammettere che sono proprio le donne il più delle volte a trasferire negli uomini la percezione che esista una differenza di genere. È questo il primo ostacolo: non ci sarà mai un mutamento di mentalità maschile, se non muta prima quella femminile. Mi dispiace ammetterlo, ma spesso è così.
Ha mai percepito in un interlocutore maschile un atteggiamento sufficiente?
Mi è capitato di sentirmi sottovalutata. Ma non ne ho fatto un problema, anche perché in genere non sento il bisogno di dover dimostrare al momento quanto valgo.
E rispetto ai dipendenti ha mai provato un difetto di autorevolezza?
Certamente: per conquistare il proprio posto bisogna lottare. Quando sono entrata in azienda il fatto di essere donna, per di più giovane, è stata sicuramente una discriminante. Poi però io sono molto rigida nel far rispettare le regole, di ogni tipo: ho scritto lettere di richiamo, ho fatto capire che non tolleravo battute o stupidi apprezzamenti. E oggi su questo piano non ci sono assolutamente conflitti e penso che le ragazze siano guardate per ciò che fanno, non per essere donne. E questo vale anche per me.
In quanti lavorano in TR Trasporti attualmente?
Una quarantina di persone, di cui una trentina autisti.
Tutti uomini?
Sì, ma soltanto perché non mi si è mai proposta una donna. Se accadesse, proprio per quanto ho detto, non avrei certo preclusioni.
Non le è capitato anche perché capita molto di rado. Cosa bisognerebbe fare per incentivare le donne a fare un passo in avanti verso l’autotrasporto?
Da un punto di vista pratico bisognerebbe per lo meno garantire servizi adeguati. Io penso a me: proverei fatica a dover fare a meno, nel bagno di un’area di sosta, a profumi o creme. Ma il problema è che in realtà non ci sono aree di sosta sufficienti nemmeno per gli autisti uomini.
Trenta autisti, tutti uomini: come si relaziona con loro?
Non provo difficoltà, anche perché quando parlo con loro – in napoletano – sono una di loro. E so che sono tutte persone per bene. Certo, c’è anche quello che scende dal camion con le pantofole e mi fa incazzare perché non è consentito dalle norme sulla sicurezza. Ma in generale non ci vuole molto: è sufficiente che loro percepiscano il mio rispetto in quanto lavoratori e questo li fa stare tranquilli. È questa l’unica giustificazione che riesco a dare del perché non mi costi fatica gestire tanti uomini. Poi, mi rendo conto che dall’esterno questa cosa viene percepita diversamente. Quando cioè arriva un ospite e mi vede lì, piccolina – sono un metro e sessanta, “un metro e un poco”, come si dice – discutere in mezzo a tanti uomini possenti, si stupiscono. Ma dall’interno è tutto naturale.
Una soddisfazione particolare rispetto a questa relazione?
Essere riuscita a coinvolgere con successo gli autisti in corsi di formazione dedicati alla comunicazione. Per me è un fattore essenziale e temevo reazioni scettiche. Invece ho avuto ottimi riscontri perché loro si sono sentiti maggiormente responsabilizzati e motivati. E questo li aiuta anche a lavorare meglio.
L’emergenza sanitaria quanto vi ha fatto male?
A livello aziendale ci ha procurato una perdita del fatturato intorno al 30%. Rispetto alle persone non abbiamo avuto contagi, anche perché abbiamo seguito alla lettera ogni protocollo.
E ora, come ci si riorganizza?
No, guardi, penso che si possa fare attenzione ai costi, si possano utilizzare tutti gli ammortizzatori sociali, ma per il resto sono molto calma e lucida: qui l’obiettivo è sopravvivere, in termini sanitari ed economici. Non è tempo di farsi strani viaggi di crescita.