Ci occupiamo oggi del primo Pacchetto Mobilità. A questo riguardo una sentenza importante a livello continentale è stata emanata lo scorso 4 ottobre dalla Corte di Giustizia europea. L’organo giudiziario, pur confermando la validità complessiva del regolamento, ha però annullato l’obbligo di rientro dei veicoli ogni otto settimane presso la sede operativa dell’impresa di trasporto.
Esaminiamo perciò le motivazioni.
IL FATTO
La vicenda nasce dal ricorso contro una parte delle norme previste nel primo Pacchetto Mobilità, appello presentato dinanzi alla Corte da Lituania, Bulgaria, Romania, Cipro, Ungheria, Malta e Polonia (procedimenti riuniti da C-541/20 a C-555/20).
La richiesta era di valutare ed abolire le seguenti regole introdotte nel 2022, ovvero:
– il divieto per i conducenti di prendere il riposo settimanale regolare o compensativo nel veicolo;
– l’obbligo per le imprese di trasporto di organizzare il lavoro dei conducenti in modo che possano tornare al centro operativo dell’impresa o al loro luogo di residenza ogni tre o quattro settimane per prendere il riposo settimanale regolare o compensativo;
– l’anticipo della data di entrata in vigore dell’obbligo di installare tachigrafi intelligenti di seconda generazione;
– l’obbligo per i veicoli utilizzati nel trasporto internazionale di tornare ogni otto settimane al centro operativo nel Paese di stabilimento;
– il periodo di attesa di quattro giorni, durante il quale gli autotrasportatori non residenti non possono effettuare operazioni di cabotaggio nello stesso Stato membro dopo aver completato un ciclo di cabotaggio;
– la classificazione dei conducenti come «lavoratori distaccati» durante le operazioni di cabotaggio, trasporti tra Stati membri diversi in cui non vi sia nessuno degli Stati membri di stabilimento dell’impresa di trasporto (cross trade) o alcune attività di trasporto combinato, con conseguente applicazione delle condizioni di lavoro in vigore nello Stato membro ospitante.
LA DECISIONE
Ebbene, la Corte ha rigettato tutti i ricorsi con un’unica eccezione, ovvero la parte diretta contro l’obbligo relativo al rientro dei veicoli. Per l’organo giudicante, infatti «il Parlamento e il Consiglio non hanno dimostrato di aver avuto a disposizione informazioni sufficienti al momento dell’adozione di tale misura per consentire loro di valutarne la proporzionalità». In altri termini, la misura dell’obbligo di rientro dei veicoli dopo otto settimane non è ben chiaro su quali basi specifiche e principi sia stata adottata.
Per il resto, la Corte ha respinto gli argomenti degli Stati membri ricorrenti – fondati sui principi di proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione, politica comune dei trasporti, libera prestazione di servizi, libertà di stabilimento, libera circolazione delle merci, certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento nonché tutela dell’ambiente – ritenendo che «il legislatore dell’Unione non abbia manifestamente ecceduto i limiti del suo ampio potere discrezionale in materia».
LE CONSEGUENZE
Il risultato della vertenza vede quindi l’annullamento dell’obbligo di rientro dei veicoli e la conferma delle restanti indicazioni di legge.
A questo riguardo la Fiap Autotrasporto ha commentato che «le norme del primo Pacchetto Mobilità, alla luce della sentenza, andrebbero lette come se la disposizione sul rientro entro le otto settimane non fosse mai stata contemplata», aggiungendo che «tra l’altro, visto il motivo dell’annullamento, appare incerto l’avvio in sede UE di un ulteriore tentativo di regolamentare tale aspetto». Sulla prima conclusione ci troviamo d’accordo, sulla seconda vedremo le prossime mosse.
Nel frattempo l’ufficio di Bruxelles dell’IRU ha già avviato i lavori di analisi e approfondimento dell’impatto della sentenza, che praticamente elimina ogni chiarimento pubblicato in materia dalla Commissione. La questione sarà all’ordine del giorno nella prossima riunione del CLTM (Comitato di collegamento per il trasporto merci) IRU fissata per il 16 ottobre prossimo.
I MOTIVI DEL RIGETTO DEGLI ALTRI RICORSI
È ugualmente interessante, a conclusione, vedere quali siano le motivazioni per il rigetto degli altri argomenti «contra PM», perché a nostro parere spiegano ampiamente la filosofia della Comunità Europea riguardo a questo specifica tematica del trasporto su strada.
«La libera prestazione di servizi nel settore dei trasporti è soggetta a un regime speciale – afferma infatti la Corte – Le imprese di trasporto hanno perciò il diritto di prestare liberamente servizi solo nella misura in cui tale diritto sia stato loro concesso da norme adottate dal legislatore dell’Unione, come quelle che rientrano nell’ambito del Pacchetto Mobilità».
«Inoltre – aggiunge il tribunale – tale pacchetto di misure non impedisce alle imprese di trasporto di esercitare la libertà di stabilimento, creando filiali negli Stati membri in cui intendono fornire servizi e insediandosi così più vicino alla domanda effettiva delle loro attività. La Corte ritiene inoltre che, con il Pacchetto Mobilità, il legislatore dell’UE abbia cercato di trovare un nuovo equilibrio tra l’interesse degli autotrasportatori a migliori condizioni sociali di lavoro e l’interesse dei datori di lavoro a svolgere le loro attività di trasporto in condizioni commerciali eque, in modo che il settore diventi più sicuro, efficace e socialmente responsabile».
La UE ritiene anche che «una maggiore protezione sociale per i conducenti avrebbe potuto comportare un aumento dei costi sostenuti da alcune imprese di trasporto. Le norme adottate a tal fine sono proporzionate, si applicano indistintamente in tutta l’Unione Europea e non discriminano le aziende di trasporto stabilite in Stati membri alla periferia dell’UE».
Quanto al divieto di prendere il periodo di riposo settimanale regolare o compensativo nel veicolo, tale proibizione non è nuova, ma deriva dalla normativa precedente come interpretata dalla Corte.
Altra motivazione: «L’obbligo per le imprese di trasporto di consentire ai conducenti di tornare regolarmente alla sede operativa dell’impresa o al loro luogo di residenza per iniziare o trascorrere almeno il loro periodo di riposo settimanale regolare o compensativo non impedisce ai conducenti di scegliere autonomamente il luogo in cui desiderano effettuare il loro riposo. Inoltre, le imprese possono combinare tale ritorno con un ritorno dei veicoli alla loro sede operativa nell’ambito delle loro attività abituali o organizzarlo tramite mezzi pubblici, di modo che tale obbligo non abbia necessariamente conseguenze negative per l’ambiente».
Per quanto riguarda le norme sul distacco, «il legislatore dell’Unione ha preso in considerazione, per ciascun tipo di operazione di trasporto su strada, il collegamento tra il servizio fornito e lo Stato membro ospitante o lo Stato membro di stabilimento, al fine di trovare un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco. Tali norme non sono state modificate, per quanto riguarda le operazioni di cabotaggio, dal Pacchetto Mobilità e derivavano in sostanza dal precedente quadro normativo in materia di operazioni di cross trade».
Infine, la Corte rileva che, con il PM, il legislatore ha anche trovato un nuovo equilibrio che tenesse conto degli interessi delle diverse imprese di trasporto, «rimediando alle difficoltà sorte nell’applicazione del regolamento n. 1072/2009 a causa di pratiche contrarie alla natura temporanea delle operazioni di cabotaggio». Pertanto, per quanto riguarda più specificamente il periodo di attesa per il cabotaggio, si sottolinea che tale periodo è destinato, conformemente all’obiettivo già perseguito dalla precedente normativa, a garantire che le operazioni di cabotaggio non siano effettuate in modo tale da creare un’attività permanente o continuativa nello Stato membro ospitante. Questo senza impedire altre operazioni di trasporto, come i trasporti internazionali, sia verso lo Stato membro di stabilimento sia verso altri Stati membri, seguite, a seconda dei casi, da operazioni di cabotaggio in tali altri Stati membri.