Una bottiglia d’olio. Olio di semi. Olio biologico. Nelle nostre case non arriva solo in bottiglia per friggere e condire, ma anche – magari – in un vasetto contenente una salsa di marca o – senza che ce ne rendiamo conto – in una saponetta profumata, nella vernice con cui rimettiamo a nuovo un mobile vecchio, nel tubetto dei colori con cui coltiviamo il nostro hobby della pittura. Ma ne arriva – e in grandi quantità – anche all’industria, sia per la produzione (tessile, gomma, farmaceutica, cosmesi, zootecnia) sia come lubrificante o combustibile ecosostenibile, soprattutto per gli impianti più moderni che producono energia con la cogenerazione.
Olio, non è mai abbastanza
Perché di olio di semi coltivato con sistemi biologici – cioè senza agrofarmaci, pesticidi o fertilizzanti chimici – sulle strade italiane ne circola sempre di più a bordo di autobotti specializzate che partono dagli impianti di spremitura e raffinazione per raggiungere quelli dell’industria alimentare o chimica o energetica. Nel nostro paese, tra il 2017 e il 2018, il terreno coltivato a semi oleosi (prevalentemente girasole, soia, colza) è aumentato del 17,5%, arrivando a oltre 25 mila ettari. Difficile calcolare la quantità di olio che viene fuori dalla loro spremitura. Quel che è certo è che non basta a soddisfare una domanda in forte crescita che deve essere integrata con forniture dal Sud America o dall’Asia, su cargo attrezzati al trasporto alimentare, che attraccano per lo più nel porto di Venezia.
Partenza da Venezia con destinazione le tavole (e dintorni)
Ed è anche lì, nel porto della Serenissima (oltre che presso gli impianti di raffinazione nazionali) che le autobotti del Consorzio Autocisternisti Mestre (CAM) vanno a caricare l’olio di semi biologico per far proseguire il suo lungo cammino verso il cliente finale, passando per industrie dell’alimentazione, società multiservizi, aziende di bioraffinazione che lo trattano ulteriormente, per sfruttarne al meglio tutte le possibili applicazioni: alimentare, farmaceutico, cosmetico, nutrizione animale, energetico.
«Abbiamo cominciato 15 anni fa», ricorda il coordinatore e responsabile QSA del consorzio, Giuseppe Milano, «per un committente che aveva appena creato in provincia di Vicenza un’azienda di bioraffinazione». Ora quell’aziendina è diventato un gruppo industriale con sei stabilimenti produttivi (di cui uno in Romania) e due centri di stoccaggio per lavorare ogni anno 2,5 milioni di tonnellate di cereali e semi oleosi, coinvolgendo 14 mila aziende agricole.
Una coop che “naviga” in 180 mila tonnellate di olio (all’anno)
Oggi a rifornire di olio biovegetale quegli impianti e quei centri di stoccaggio, sono una parte delle 100 autocisterne del CAM che però hanno allargato i loro orizzonti e riforniscono ormai anche rinomati marchi alimentari (quelli che lo usano, appunto, per le salse pronte) e imprese di servizi (soprattutto nel Trentino) che lo forniscono come biocarburante alle industrie di nuova generazione. Sono circa 180 mila tonnellate di olio che la cooperativa mestrina muove ogni anno per tutta Italia al ritmo di una decina di autobotti al giorno.
Il tutto con grande attenzione alle procedure di sicurezza, attestata dalla pioggia di certificazioni di sicurezza, qualità e ambiente, acquisite fin dal 1993. Quelle autocisterne di metallo lucido che percorrono le nostre autostrade con il marchio CAM vengono ripulite quasi dopo ogni viaggio, rispettando («in maniera certosina», precisa Milano) le rigide autorizzazioni previste per i trasporti alimentari e i protocolli rilasciati da cliente sulla pulizia dei mezzi, per garantire la conservazione delle caratteristiche organolettiche delle merci trasportate. E quando scaricano il prodotto, gli autisti impiegano manichette realizzate con materiali compatibili con i prodotti alimentari.
Tanta attenzione, cura, precisione è anche frutto dell’esperienza accumulata nel trasporto di prodotti chimici che ancora oggi costituiscono il 40% dell’attività di CAM. Nato negli anni Sessanta per il trasporto petrolifero, il consorzio non è rimasto con le mani in mano: prima ha ampliato al chimico, poi – con la crisi del 2008 – ha differenziato indirizzandosi proprio sul trasporto bioalimentare, dove meglio poteva mettere a frutto le competenze dei settori in cui già operava, e che oggi occupa saldamente il 15% dell’attività.
Bio alimentare, un’ancora resistente… anche in lockdown
Una scelta che ha pagato proprio nei giorni della pandemia, quando le uniche filiere che non si sono fermate sono state quelle dell’alimentare e della sanità. Perché accanto al trasporto di materiale per la produzione di olio, CAM fa girare anche cisterne cariche di ipoclorito, la base della candeggina, che con la necessità di igienizzare oggetti e ambienti nel 2020 ha avuto un boom: a metà marzo, l’igienizzante aveva raddoppiato le vendite, nell’ultima settimana del mese era cresciuta «solo» del 56,8%, nella prima di aprile, l’aumento si era «fermato» al 46,6%. «Noi lavoriamo per le industrie che producono l’olio per uso alimentare (e non) e la candeggina per igienizzare che arrivano nelle case di tutti», conclude Milano. «In pratica facciamo mangiare e pulire gli Italiani».
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