Il mio post LinkedIn di maggior successo nel 2024 riguardava i miei bimbi: una domenica, per gioco, abbiamo costruito un magazzino con i Lego, con tanto di baie di carico/scarico e collegamento ferroviario. Oltre ai camion, ovviamente. Quando chiedo a Francesco (8 anni), che cosa vuol fare da grande, mi risponde senza esitazione «Guidare i camion!», con gli occhi che gli brillano.
Eppure, ricordo bene un episodio, nel parcheggio di un’area di sosta, in cui Francesco passava in rassegna i vari camion descrivendomi colori, marche, caratteristi che dei rimorchi. A un certo punto un autista è sceso e gli ha detto: «Lascia perdere, è una vitaccia». Ci siamo fermati a parlare con quell’autista che ci ha raccontato tante cose che non funzionano: le attese estenuanti alle frontiere e ai magazzini, la mancanza di aree attrezzate, la lontananza dalla famiglia nei viaggi internazionali e il «sentirsi soli».
Tutti elementi che sono emersi nelle ultime edizioni dell’Osservatorio e che hanno ricordato alle aziende le direzioni di lavoro per migliorare l’attrattività del settore: consapevolezza strategica, innovazione tecnologica, competizione leale e legalità, wellbeing, caratteristiche del lavoro, diversity & inclusion e luogo di lavoro. Un elemento comune a tutte queste aree di lavoro è quello di mettere le persone della logistica al centro di ogni cosa.
È vero, probabilmente Francesco non sa quanto sia dura la vita dell’autista. E io quel dialogo in area di sosta non me lo tolgo dalla testa. Ma mi piacerebbe reincontrare quella persona un giorno e sentirci dire «Sapete, le cose sono cambiate, non è poi così male fare l’autista». E forse tutti noi potremmo iniziare da qui il cambiamento: tornare a guardare la logisti ca con gli occhi di un bambino.