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Fercam trasporta all’Expo di Osaka un’opera di Jago

È stata un’autentica sfida il trasferimento di «Apparato Circolatorio» di Jago da un museo di Napoli alla città che ospita l’Esposizione universale fino al 13 ottobre. È stato necessario disallestire l’opera, progettare imballi su misure, realizzare casse tracciabili lungo l’intero tragitto, stabilire un coordinamento con le autorità doganali del Giappone, dove l’operatore altoatesino è presente con tre sedi

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C’è un pezzo di trasporto italiano nell’Expo di Osaka in programma fino al 13 ottobre 2025 sull’isola artificiale di Yumeshima, nella baia della città giapponese. Un evento a cui si stima prenderanno parte circa 28 milioni di visitatori, seguendo un tema stimolante: «Progettare la società del futuro per le nostre vite».

Ovviamente è presente anche il Padiglione Italia, centrato sulla creatività e sulla genialità del nostro Paese, espressa tramite un percorso che unisce passato, presente e futuro: dall’Aereo di Arturo Ferrarin, l’aviatore che compì nel 1920 la storica impresa Roma-Tokyo, al Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, quattro disegni del genio toscano esposti a rotazione per mostrare come antichi ingegni italici sappiano ancora essere fonte di innovazione.
In mezzo a tanta espressione artistica di secoli passati, c’è anche «Apparato Circolatorio», opera con cui Jago – uno scultore di 38 anni – trasforma il corpo umano in una sorta di rappresentazione vivente. L’artista di Frosinone – come spiega nel suo sito – «ha modellato un cuore in argilla, ne ha digitalizzato il movimento trasformandolo in un’animazione tridimensionale, da cui ha ricavato trenta fotogrammi. Ogni fotogramma è diventato un cuore di ceramica smaltata, diverso dall’altro, che insieme compongono il ciclo completo di un battito».

Per portare questo delicato cuore pulsante a Osaka c’era bisogno, come per tutte le cose, di un trasporto. A farsene carico è stata la Business Unit Fine Art di Fercam, specializzata proprio in trasporti museali e in movimentazioni ad alta complessità. In questo caso il lavoro è stato articolato, costruito cioè per tappe progressive. La prima è stata ovviamente quella di disallestire l’opera dal luogo in cui si trova normalmente, vale a dire lo Jago Museum di Napoli. Quindi, è stato necessario, vista la particolare conformazione e delicatezza dell’opera, progettare un imballaggio su misura che potesse contenerla durante il suo trasferimento verso Osaka, operazione facilitata dal fatto che l’operatore altoatesino è presente in Giappone con tre sedi, di cui una proprio a Osaka (le altre sono a Narita e a Tokyo). E poi, dopo l’installazione giapponese, servirà ovviamente fare l’intero percorso a ritroso.

Una sfida complicata, che richiede, come spiega Carolina Cuomo, Fercam Fine Art Area Executive, «una preparazione accurata, un know-how specifico e una relazione di fiducia con l’artista. Ogni dettaglio è stato studiato con attenzione, dalla costruzione delle casse al tracciamento dell’intero tragitto, fino al coordinamento con le autorità doganali giapponesi». La relazione a cui Cuomo fa riferimento deriva dalla lunga collaborazione che Fercam ha instaurato negli anni con Jago e che in questo caso è servita – aggiunge con efficacia – «a valorizzare il ruolo della logistica come parte integrante del processo artistico».

A fornire pregnanza a una tale affermazione è anche la modalità con cui Fercam realizza i propri imballaggi, in generale e anche in questo caso particolare. Anche per “avvolgere” i cuori di Jago, infatti, sono state utilizzate casse realizzate in collaborazione con Echo Labs, impresa sociale del Gruppo che impiega rifugiati politici e richiedenti asilo nella falegnameria interna. Ma l’aspetto creativo emerge dalla volontà di fornire agli imballaggi usati una seconda vita, dando loro un design unico affidato a materiali materiali certificati. Ecco perché Chiara Prisco, Responsabile Fine Art, sottolinea come la logistica d’arte, così come la intende Fercam, «non si limita alla sicurezza e alla precisione tecnica, ma genera valore anche sul piano ambientale e umano», proprio perché riesce a «coniugare bellezza, inclusione e responsabilità, offrendo all’arte un futuro sostenibile». 

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