In Europa, seppure a piccoli passi, il trasporto merci ferroviario avanza, anche perché diventa una precondizione della transizione energetica. Merito della ferrovia e di chi ha investito sui suoi binari? Fino a un certo punto. Perché la crescita del trasporto merci ferroviario, almeno in Svizzera, è merito anche dell’intermodalità «e quindi dell’apporto decisivo dell’autotrasporto che, anche in periodi di emergenza, ha realizzato e realizza quelle condizioni di pari dignità fra le diverse componente del trasporto merci e di complementarietà che sono all’origine del successo del modello svizzero». A sostenere questo concetto è stato Reto Jaussi, direttore dell’Associazione svizzera dei trasportatori stradali (ASTAG), che nel corso del convegno «Un Mare di Svizzera» svoltosi a Lugano, ha rivendicato il ruolo determinante giocato dall’autotrasporto svizzero durante la pandemia, avendo assicurato senza interruzioni la consegna di ossigeno, farmaci, vaccini, ma anche prodotti alimentari che la ferrovia, non essendo in grado di garantire la catena del freddo, non avrebbe potuto consegnare. E poi, conti alla mano, lo stesso Jaussi ha ricordato che la costruzione delle grandi infrastrutture ferroviarie e in particolare Alptransit, «è stata finanziata grazie a una sovra-tassa sul traffico pesante». Quindi, in pratica dall’autotrasporto. Tutti argomenti che sono stati una sorta di premessa a un concetto molto importante: tutte le modalità di trasporto, e quindi anche l’autotrasporto, hanno «pari dignità e complementarietà». E questo ruolo non è neppure una scelta, ma una necessità, in quanto deriva – ha sostenuto il diretto di Astag – dalla «decisione concretizzatasi negli ultimi 40 anni di chiudere tutti i raccordi ferroviari industriali con aziende private». A quel punto quindi la complementarietà è diventata obbligatoria visto che – ha concluso – «le ferrovie cargo non possono certo raggiungere né i singoli negozi, né i supermercati o i centri produttivi». E se crescono lo fanno «in funzione dell’efficienza operativa dell’autotrasporto».
Certo, sono ragionamenti affinati rispetto alla realtà svizzera, ma possono essere tranquillamente traslati alla realtà italiana, dove i raccordi ferroviari con le aziende private sono stati praticamente rimossi nel periodo in cui a capo delle Ferrovie dello Stato c’era Mauro Moretti, che decise di lavorare sulla concentrazione dei punti di carico per generare economia di scala. Quindi, in Svizzera come in Italia la ferrovia ha potuto proporsi come alternativa vincente sulle lunghe tratte, mentre su quelli più brevi l’autotrasporto resta insostituibile, non avendo quelle rotture di carico a cui invece un trasporto ferroviario deve necessariamente sottostare.