Articolo a cura di Irina di Ruocco e Pietro Spirito
La letteratura sulla mobilità urbana a lungo ha esplorato la teoria della «città dei quindici minuti». Questo concetto urbanistico propone un modello residenziale in cui la maggior parte delle necessità quotidiane dei cittadini può essere soddisfatta a piedi o in bicicletta, senza la necessità di spostamenti lunghi e onerosi.
Nel 2016, l’urbanista della Sorbona Carlos Moreno coniò l’espressione «città di 15 minuti» in un articolo pubblicato su La Tribune, intitolato La città del quarto d’ora: per una nuova cronourbanistica. Scriveva Moreno:
«Conciliare le esigenze della città sostenibile con i nuovi ritmi di vita richiede una trasformazione dello spazio urbano, ancora fortemente monofunzionale. Occorre passare da un modello centrato sulle specializzazioni del centro città a una città policentrica, basata su quattro principi: prossimità, diversità, densità e ubiquità. È la città dell'iperprossimità, dell'accessibilità universale, dove ogni cittadino può soddisfare i propri bisogni essenziali in meno di 15 minuti».
A Parigi, la sindaca Anne Hidalgo, già dal suo primo mandato nel 2014, si è distinta per politiche volte alla riduzione del traffico automobilistico. Durante la campagna per la rielezione nel 2020, ha esplicitamente sostenuto la «città di 15 minuti» di Moreno, inserendola nel suo programma politico. Nel frattempo, l’emergenza pandemica ha rivoluzionato il modo in cui concepiamo lo spazio urbano e gli spostamenti. La necessità di riorganizzare le città per favorire la prossimità ha accelerato l’adozione globale di questo modello, che promette di migliorare la qualità della vita e aumentare l’efficienza e la sostenibilità delle metropoli.
L’Italia e la «città delle 15 ore»
L’Italia ha una peculiare capacità di rielaborare i modelli urbanistici in forme inattese. La lotta alla burocrazia, ad esempio, si è spesso trasformata in un paradosso, producendo nuovi strati di complessità amministrativa anziché semplificare i processi. Un esempio emblematico è il fallimentare tentativo del Ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli di «sfoltire» la normativa italiana, culminato in un falò simbolico di leggi obsolete, ma senza un’effettiva riduzione della complessità legislativa.
Allo stesso modo, la «città di 15 minuti» è stata reinterpretata in Italia come «la città delle 15 ore». Ciò che in origine era un piano di mobilità sostenibile e di riorganizzazione urbanistica è diventato un labirinto burocratico e amministrativo. Le pratiche necessarie per ottenere autorizzazioni e certificazioni si moltiplicano, spesso richiedendo spostamenti tra uffici distanti, il tutto con orari di apertura concepiti in modo da rendere il completamento dell’iter quanto più complicato possibile.
Il risultato è un sistema in cui il tempo diventa un’entità elastica, dilatata da inefficienze sistemiche. Invece di ridurre le distanze e favorire la prossimità, la burocrazia crea vincoli che allungano i tempi di attesa e i percorsi necessari per accedere ai servizi. Il tempo, che altrove è considerato una risorsa da ottimizzare, in Italia diventa un’ulteriore barriera all’efficienza.
La corsa alla «città delle 15 ore»
In questo scenario, l’Italia si distingue per la sua capacità di dilatare le tempistiche amministrative e logistiche, trasformando la sfida della città sostenibile in un esercizio di resistenza burocratica. Il concetto di «città delle 15 ore» diventa così una sorta di modello competitivo, con le amministrazioni locali impegnate in una gara involontaria per aumentare la complessità dei processi.
Alcuni osservatori internazionali guardano con curiosità a questa «evoluzione» del concetto di cronourbanistica, cercando di coglierne eventuali lezioni. C’è persino chi suggerisce che, con l’introduzione dell’ora legale, si potrebbe ridurre il modello alla «città delle 14 ore», ottenendo risparmi energetici e migliorando la sostenibilità. Tuttavia, il rischio è che la proliferazione di ostacoli burocratici renda la città sempre meno vivibile e funzionale.
Nel nostro Paese, il tempo sembra ormai viaggiare disconnesso dal suo reale valore. In un contesto in cui l’errore sistematico diventa principio organizzativo, l’unica risposta possibile sembra essere l’estensione indefinita dei tempi. Lo vediamo, ad esempio, nei trasporti: quando un sistema ferroviario non funziona, una delle prime soluzioni adottate è l’allungamento delle tracce orarie e dei tempi di percorrenza.
La «città delle 15 ore» rappresenta dunque la sintesi estrema di questo approccio, in cui il tempo non è più una risorsa da ottimizzare, ma un ostacolo da superare con pazienza e resistenza. Il paradosso italiano della mobilità urbana e della gestione del tempo si conferma ancora una volta come un unicum nel panorama internazionale, capace di trasformare anche le idee più innovative in percorsi tortuosi e imprevedibili.
Conclusione: oltre l’ironia, una necessità di pianificazione concreta
Il dibattito tra la «città di 15 minuti» e la «città delle 15 ore» non è solo una questione retorica o ironica, ma pone interrogativi cruciali sulla pianificazione urbana e sulla gestione amministrativa dei territori. La mobilità sostenibile e la distribuzione equilibrata delle funzioni urbane richiedono un approccio sistemico che integri urbanistica, trasporti, governance e digitalizzazione dei processi amministrativi.
L’adozione di tecnologie intelligenti, come il digital twin per la simulazione della mobilità e l’ottimizzazione dei percorsi amministrativi tramite e-government, potrebbe ridurre i tempi burocratici e migliorare la qualità dei servizi pubblici. Inoltre, la decentralizzazione amministrativa e la standardizzazione delle procedure potrebbero limitare le inefficienze che portano alla distorsione dei tempi di accesso ai servizi.
Per rendere la «città di 15 minuti» una realtà praticabile e non un’utopia irraggiungibile, è necessario un impegno coordinato tra istituzioni, enti locali e cittadini, con politiche di investimento mirate alla creazione di infrastrutture resilienti e alla riduzione della burocrazia paralizzante. Solo attraverso un’effettiva integrazione tra innovazione tecnologica e riforme strutturali sarà possibile trasformare il tempo urbano da ostacolo a risorsa strategica per il benessere collettivo.