I divieti settoriali alla circolazione dei pesanti posti dall’Austria lungo l’asse del Brennero contrastano con il principio europeo della libera circolazione delle merci. Questo è quanto afferma la Camera di Commercio di Bolzano, dopo aver chiesto il parere legale a Peter Hilpold, docente di diritto comunitario presso l’Università di Innsbruck.
La sproporzione dei divieti
Le parole del professore arrivano a corroborare quanto già in precedenza era stato affermato dalla Corte Giustizia dell’Ue in una sentenza del 2011, dalla quale si evinceva che i divieti in questione non erano proporzionati e sufficienti a garantire il rispetto dell’ambiente alpino. In pratica è come sparare con un bazooka a una mosca.
Inoltre, Hilpold ha analizzato l’idoneità, la necessità e l’adeguatezza delle misure limitative alla libera circolazione dei mezzi. Per esempio, una delle eccezioni sollevate pone l’attenzione sulla scelta arbitraria e discriminante «dei beni compatibili con il trasporto su rotaia». In pratica, è come mischiare mele con le pere.
La ragioni ambientali? Non valgono per i tirolesi
Il professore, poi, evidenzia come a bilanciare le misure restrittive non ne siano state introdotte altre volte a evitare l’abuso e l’elusione del divieto da parte delle aziende tirolesi e anzi l’estensione delle deroghe al divieto per il traffico regionale anche al traffico a lunga distanza con origine o destinazione in Tirolo «contrasta con l’intera logica dell’eccezione prevista per il traffico regionale e non regge quindi di fronte al diritto comunitario». In pratica, è come imporre una quaresima agli altri, mentre per se stessi ci si concede un carnevale.
I danni caricati sul nostro autotrasporto
Come più volte ribadito, la tratta tirolese garantisce l’integrazione dell’Italia con il mercato unico europeo e quindi il blocco austriaco limita, violandolo, il principio di libera circolazione delle merci italiane e crea una distorsione della concorrenza a favore delle sole imprese austriache.
Ricordiamo che il valico alpino è la porta di transito di un cospicuo volume di merci (oltre 40 milioni di tonnellate nel 2018) e vede il passaggio di 4,5 milioni di camion all’anno che non hanno come origine né destinazione l’Austria. Chiudendo le porte all’Italia, per ogni ora di ritardo nell’attraversamento del valico, la nostra economia paga già più di 370 milioni di euro su base annua. Per i maggiori tempi di percorrenza legati al passaggio su rotaia, il danno per il sistema economico italiano è stimato in 100 milioni di euro l’anno.
Domanda finale: se neanche la recente azione congiunta fra la ministra Paola De Micheli e il suo omologo tedesco Adreas Scheuer è stata sufficiente per ottenere una risposta concreta da Bruxelles e se neppure una condanna della Corte di Giustizia nel 2011 è riuscita a sortire effetti, cosa serve per frenare l’Austria dal procurare danni all’autotrasporto e alle economie di altri Stati membri?